Premesso che chi è liberale o per lo meno si considera tale non dovrebbe mettere in discussione lo stato di diritto e l’economia di mercato che rappresentano i capisaldi fondamentali di ogni democrazia liberale e dovrebbe inoltre essere consapevole che populismo, demagogia, culto del leader, rifiuto dell’equilibrio tra i poteri dello Stato sono estranei alla cultura liberale.
Considerando altresì che una visione moderna del liberalismo non nega l’esistenza e l’urgenza di una questione sociale che ha assunto con la globalizzazione dei mercati aspetti preoccupanti ma rifiuta soluzioni assistenziali di breve respiro che aggravano il problema anziché risolverlo cercando di conseguenza di affrontarla attraverso interventi strutturali.
Propongo agli elettori liberali alcuni profili che dovrebbero distinguere le liste e i candidati da scegliere:
- devono considerare l’Europa non un problema ma un’opportunità che fino ad oggi ha consentito grandi vantaggi per la crescita e la stabilità del Vecchio Continente. E che quindi la sua unità vada ulteriormente rafforzata per trasformare anche l’Europa in un soggetto politico in grado di governare i processi di globalizzazione insieme alle altre grandi potenze protagoniste come gli Stati Uniti, la Cina e la Russia.
- siano convinti che per risolvere il problema della disoccupazione (e specialmente di quella giovanile che ha raggiunto percentuali inaccettabili) occorrono misure che incoraggino gli investitori italiani e stranieri a creare nuove imprese; non quindi incentivi a pioggia e di carattere transitorio ma invece diminuzione degli oneri fiscali e previdenziali e provvedimenti che semplifichino gli iter burocratici, rendano più veloce la giustizia civile, ridimensionino la giustizia amministrativa (i famigerati TAR), privilegino percorsi scolastici più aderenti alla domanda del mercato, migliorino le infrastrutture essenziali come ferrovie, strade e porti. Sapendo che se si vogliono evitare le speculazioni dei falsi imprenditori che incassano gli incentivi e spariscono appena questi vengono meno occorre garantire agli imprenditori seri che impegnano capitali propri la certezza del diritto e condizioni fiscali e strutturali che non cambino continuamente mettendo a rischio gli investimenti compiuti.
- siano esigenti nel pretendere l’osservanza della norma costituzionale che prevede per le assunzioni nel settore pubblico il superamento di un regolare concorso, limitando le eccezioni a poche limitate figure professionali rigorosamente previste dalla legge.
- siano convinti che la riduzione del debito pubblico rappresenta una priorità inderogabile per garantire la stabilità finanziaria e la credibilità internazionale del Paese. E che quindi tutte le risorse provenienti dalle inevitabili privatizzazioni dei servizi meno efficienti e dalle cessioni di patrimonio pubblico debbano essere destinate a tale obiettivo.
- reputino che l’intervento dello Stato debba essere concentrato su pochi essenziali obiettivi strategici, eliminando attraverso una seria revisione della spesa le dispersioni del danaro pubblico per finalità clientelari: oltre quindi alle infrastrutture dei trasporti anche e soprattutto la razionalizzazione della spesa sanitaria e la promozione di reti di comunicazione ad alta capacità in grado di ridurre il gap che ancora separa il nostro Paese da altri paragonabili per importanza.
Per quanto riguarda i necessari interventi assistenziali la sensibilità sociale dei liberali non soltanto li ritiene doverosi ma li vorrebbe più efficienti e soprattutto più trasparenti e controllabili; da qui l’esigenza di tracciare confini netti tra spesa previdenziale e assistenza sociale, stabilendo i rispettivi limiti e competenze. In tale contesto rientra anche l’opportunità di rivedere l’intero sistema delle indennità di disoccupazione in modo da renderlo più giusto, relativamente omogeneo e integrato con le offerte di lavoro che si presentano sul mercato. - siano consapevoli che la riduzione dei costi della politica, pur non essendo certamente sufficiente a raccogliere le risorse necessarie per far fronte agli squilibri sociali, rappresenta una priorità in quanto costituisce uno dei principali motivi di delegittimazione della democrazia parlamentare. La corruzione diffusa ad ogni livello della pubblica amministrazione insieme alla difesa di privilegi anacronistici, al di là della loro effettiva consistenza, sono percepite dalla pubblica opinione come una questione morale che incide fortemente sul prestigio e la credibilità della classe dirigente divenendo la ragione principale del diffuso consenso che incontrano movimenti di protesta che su tale innegabile realtà riescono ad aggregare le molte ragioni di disagio che disorientano l’elettorato.
- siano disponibili a esaminare con criteri oggettivi e senza prevenzioni ideologiche una riforma fiscale fondata sulla flat tax. Se un’aliquota unica adottata nei tempi e nelle modalità proposte da Nicola Rossi (noto per essere sempre stato un economista di sinistra) consentisse di rendere più attrattivo il nostro Paese per gli investimenti aumentando in tempi ragionevoli il gettito fiscale e asciugando in gran parte l’evasione prodotta dal lavoro nero non ci sono ragioni per non prenderla in considerazione. E’ noto infatti che – insieme ai costi energetici – la pressione fiscale rappresenta uno dei principali disincentivi agli investimenti.
- siano consapevoli che l’immigrazione irregolare risponde a logiche geo-politiche che partono da lontano e produce conseguenze non sempre controllabili ma che vanno anche considerate in prospettiva. Essa pertanto deve essere regolata senza adottare misure di contrasto violente e inumane le quali – a prescindere da ogni considerazione morale – sono inutili e servono soltanto a ingigantire percezioni di pericolo che i dati oggettivi smentiscono. Un’immigrazione regolamentata costituisce invece un’opportunità anche tenendo conto che nel prossimo ventennio la popolazione autoctona italiana subirà una forte contrazione per effetto della scarsa natalità. Sin d’ora si potrebbe, per favorire l’integrazione, riconoscere agli immigrati cresciuti in Italia che lo richiedano il diritto di ottenere la cittadinanza italiana al compimento della maggiore età, mentre si dovrebbe consentire il diritto di voto nelle elezioni amministrative a tutti i residenti contribuenti anche se privi della cittadinanza.
- esprimano chiaramente contrarietà a rimettere in discussione riforme utili come quella pensionistica (legge Fornero), il job act e la riforma scolastica, le quali non soltanto si sono rese necessarie per contenere la crescita esponenziale del debito pubblico, per far fronte all’aumento della longevità e per adeguare le tutele dei lavoratori a modelli produttivi più flessibili, ma soprattutto si muovono nella direzione della modernizzazione della società civile rendendola compatibile con la competizione internazionale. Il che naturalmente non significa che talune modifiche non possano essere apportate per ridurne alcune ricadute che hanno dimostrato la loro criticità, purché esse non ne compromettano l’impianto complessivo.
- considerino utile la introduzione di un servizio sociale obbligatorio per i giovani di entrambi i sessi (anche di durata limitata) dopo il compimento della maggiore età, con la finalità – tra l’altro – di rafforzare i sentimenti di solidarietà e di partecipazione che costituiscono il fondamento dell’identità nazionale.
- siano favorevoli a modificare – almeno per una delle Camere – la legge elettorale in senso uninominale (secco o con ballottaggio) inserendola nella Costituzione per far cessare lo scandalo, unico in Europa, di regole elettorali continuamente variate in relazione ad interessi contingenti di partito (veri o presunti). Soltanto i sistemi uninominali infatti sono in grado di rispondere in qualche misura al crescente distacco tra elettori ed eletti, di semplificare le scelte elettorali e di assicurare la governabilità.
- siano disponibili infine a prendere in considerazione alcune modifiche costituzionali che si rendono necessarie cercando su di esse il più ampio e trasversale consenso possibile. E precisamente:
– soppressione del CNEL, da tutti ritenuto inutile, almeno nella sua attuale struttura.
– riforma del Senato in grado di attenuare il bicameralismo “perfetto” oggi esistente, senza ricorrere a misure drastiche e di difficile applicazione come quelle proposte nella riforma Renzi.
– riscrittura del titolo V (Regioni) riducendo al minimo le competenze concorrenti tra Stato e Regioni e eliminando i duplicati di spesa (e di burocrazia) che appesantiscono i costi delle Regioni. Con l’occasione si dovrebbe introdurre per tutte le Regioni (eventualmente ridisegnate e ridotte di numero) il principio di autonomia fiscale almeno per una quota rilevante delle risorse prodotte sul territorio, facendo così venir meno gli inaccettabili privilegi fiscali delle Regioni a statuto speciale che – con la sola eccezione della Provincia autonoma di Bolzano (e forse della Valle d’Aosta) – possono essere tranquillamente eliminate.
– riforma delle Province che possono essere mantenute come consorzi di Comuni all’interno delle Regioni.
– introduzione della distinzione organica tra magistratura inquirente e giudicante in ossequio al principio del “giusto processo” e della terzietà dei giudici che è alla base del processo accusatorio.
Troppa grazia sant’Antonio? Forse. Ma basterebbe, come per i dieci comandamenti cristiani, almeno avvicinarsi un po’. La perfezione non è di questo mondo, figurarsi se lo è per i liberali. Proposte discutibili anche in un’ottica liberale? Forse, ma almeno proviamo a discuterne.
Franco Chiarenza
7 febbraio 2018