Il fatto che i problemi ambientali, in essi comprendendo tutte le tematiche che riguardano il riscaldamento terrestre e l’inquinamento crescente che alterano gli equilibri biologici del nostro pianeta, siano stati portati in primo piano tra le questioni che si dibattono nel mondo costituisce certamente una sensibilizzazione opportuna. Che lo si faccia con toni esagitati e fuori misura, se sono i giovani a manifestarli, è altrettanto comprensibile. Ma il tema è troppo complesso per essere affrontato con disarmanti semplificazioni.
Non credo ci siano dubbi che il riscaldamento terrestre sia una realtà. Non è condiviso da tutti invece che il fattore antropico (cioè le alterazioni prodotte dall’uomo) ne sia la causa determinante. Molti sostengono infatti che si tratta in realtà a un nuovo ciclo di riscaldamento che si alterna nei millenni a fasi di raffreddamento, come attestano testimonianze storiche difficilmente contestabili. In ogni caso però il fenomeno è in corso e non vi è alcuna ragione per peggiorare la situazione con comportamenti umani che certamente hanno il loro peso. Da questo punto di vista quindi ben venga Greta Thunberg come simbolo di mobilitazione giovanile su un tema che ovviamente riguarda più loro che me (che di anni ne ho settanta in più della giovanissima e incazzatissima ragazzina svedese).
Ma, come sempre, il problema non sta nel fatto in sé ma nel come si intende risolverlo.
La questione economica
Tanto per capirci: i paesi che inquinano di più sono quelli a basso reddito pro-capite, a cominciare dalla Cina e dall’India per continuare con quelli dell’Africa sub-sahariana; hanno bisogno di energia a basso costo per sollevare le loro condizioni economiche e l’insistenza sulla sensibilità ambientale sembra loro un pretesto per mantenerli in posizione arretrata. L’Europa e i paesi occidentali hanno invece speso molto per diminuire l’inquinamento e progettano investimenti ancora maggiori per realizzare la cosiddetta “green-economy”. Ma esiste un punto limite oltre il quale si mette a rischio la competitività del sistema produttivo con conseguenze gravi in termini di occupazione e di crescita. Superare questo limite non significa ridurre il tenore di vita dei ricchi (che comunque con qualche piscina in meno se la cavano sempre) ma proprio dei ceti sociali che vivono per lo più di lavoro dipendente. Si può naturalmente discutere quale sia il punto di equilibrio e quanto le nuove tecnologie possano contribuire a fornire energie alternative a costi accettabili, ma comunque di questa esigenza di compatibilità dovrebbero sempre tenere conto quelli che discutono di questo problema. Greta, e coloro che la guidano dietro le quinte, fingono di ritenere la compatibilità economica irrilevante e per essere convincenti agitano un inquietante catastrofismo che ricorda il millenarismo di secoli passati e che può rappresentare il pretesto per proporre soluzioni politiche incompatibili con la nostra concezione liberale della società civile.
La società energetica
La società contemporanea si fonda sull’energia elettrica; non riusciamo nemmeno a immaginare un’esistenza senza elettricità. Per produrla si sono utilizzati fino ad oggi materiali combustibili (carbone, petrolio, gas) che con i nuovi sistemi di estrazione sono quasi inesauribili. Oppure si è fatto ricorso all’energia nucleare ottenuta attraverso gli stessi processi che hanno fatto della bomba atomica l’arma di distruzione più spaventosa della storia; un po’ per questa associazione, un po’ per lo spavento creato da alcuni “incidenti” (Cernobyl nel 1986, Fukushima nel 2011 e altri meno gravi), ma soprattutto per la mancata soluzione dello smaltimento delle scorie radioattive, molti paesi, tra cui il nostro, hanno abbandonato il nucleare. Negli anni tra le due guerre mondiali gli stati privi di materie prima (come il nostro) avevano incrementato la produzione di energia sfruttando le cadute d’acqua (centrali idroelettriche); ma pure questa tecnologia – nella quale gli italiani erano all’avanguardia, insieme a quella che utilizzava i soffioni di gas naturale (centrali geotermiche) mostrava i suoi limiti anche in termini di sicurezza ( le grandi dighe sono pericolose e producono impatti deleteri sull’ambiente circostante). Oggi lo sfruttamento idrico per produrre elettricità viene utilizzato soprattutto dove è possibile costruire bacini in corrispondenza allo sbarramento di fiumi di grande portata (come nel Tennessee, ad Assuan, in Brasile, in Cina, per citarne soltanto alcuni tra i più conosciuti) ma anche in questi casi non sono mancate le polemiche per gli effetti indiretti che le grandi dighe producono sul territorio.
In sostanza man mano che il progresso industriale si estende e la domanda di consumi elettrici aumenta non sembrano esserci alternative nella convenienza di utilizzare i combustibili fossili che infatti ancora oggi sono i più economici e diffusi. Quando l’allarme per le emissioni inquinanti ha raggiunto il suo punto più alto nella seconda metà del secolo scorso ci si è chiesti però come produrre energia in modo non dannoso per l’ambiente e sono comparse all’orizzonte alcune tecnologie alternative: energia solare, energia eolica (prodotta dal vento), altri carburanti ricavati da scarti agricoli). Ognuna di esse tuttavia ha mostrato inconvenienti gravi: il solare richiede superfici di esposizione troppo ampie per alimentare impianti di grandezza significativa, l’eolico (a prescindere dalla bruttezza delle “torri”) provoca danni alla fauna e alla flora delle zone interessate, i biocarburanti presuppongono coltivazioni estensive difficilmente disponibili senza ridurre le scorte alimentari. Vi sono inoltre difficoltà non ancora risolte che riguardano l’accumulazione e la distribuzione dell’energia prodotta, lo smaltimento di un numero crescente di batterie esauste, e altri fattori di inquinamento indiretti per i quali il danno ambientale cacciato dalla porta potrebbe rientrare dalle finestre. Inoltre tutte le nuove tecnologie alternative hanno una comune caratteristica negativa, quella di essere, almeno allo stato attuale, più costose di quelle tradizionali e quindi poco gradite ai paesi in via di sviluppo che proprio sui costi di produzione, tra i quali quelli energetici, giocano la loro partita con l’Occidente.
La questione morale
C’è un aspetto morale che giustamente viene messo in rilievo dai più giovani e che riflette le attese di giustizia che da sempre infiammano i sentimenti delle generazioni che si succedono; un assolutismo ideologico al quale è difficile contrapporre motivazioni economiche senza passare per conservatori egoisti. Ma anche da questo punto di vista la prudenza è d’obbligo; non soltanto perché poi, all’atto pratico, non sono molti coloro che concretamente sono disposti a ridurre il proprio tenore di vita per un futuro migliore, ma soprattutto per il rischio che il loro entusiasmo venga utilizzato per finalità molto diverse.
Dalle visioni apocalittiche al momento successivo di abbandonare il consenso democratico (perchè troppo complicato da ottenere in tempi rapidi) il passo è breve e porta direttamente a soluzioni sostanzialmente autoritarie (anche quando sono legittimate da una democrazia plebiscitaria). Quando si è troppo convinti della propria verità la tentazione di renderla indiscutibile per il bene dell’umanità diventa irresistibile, come dimostrano i tanti fanatismi che hanno attraversato la storia dell’umanità (ivi compresi quelli generati dagli assolutismi religiosi cristiani e islamici). Se l’ambientalismo diventa una religione produrrà forme di intolleranza fondamentalista e ci sarà qualcuno che ne approfitterà per mandare finalmente in soffitta i principi liberali e i diritti individuali e con essi il pluralismo delle idee che erano faticosamente riusciti a dare al mondo occidentale (e ad altre parti importanti del pianeta) due secoli di progresso. Greta sicuramente non ne è consapevole ma sorge legittimamente qualche dubbio sulle vere finalità di chi la spinge ad esibirsi.
E allora non si fa nulla?
Si possono fare molte cose affrontando il problema nei tempi e modi giusti, senza mettere a repentaglio i principi fondamentali della nostra civiltà liberale. E tenendo conto che la sfida globale di sottrarre l’umanità alla fame e a privazioni inaccettabili non è ancora vinta (pur avendo ottenuto innegabili progressi). E’ importante che grandi paesi, determinanti ai fini della riduzione delle emissioni inquinanti e finora recalcitranti – tra gli altri gli Stati Uniti e la Cina – abbiano cominciato a prendere misure di contenimento dell’inquinamento (come le tecnologie di “cattura” dei fumi che consentono di continuare a utilizzare il carbone, la graduale sostituzione del gas al petrolio, ecc.) e soprattutto che nuovi stili di vita vadano gradualmente sostituendo quella cultura dello spreco e dell’esibizionismo diffusi da mezzi di comunicazione involontariamente complici di un imbarbarimento anche culturale che dovrebbe preoccuparci non poco. Occorre procedere nella ricerca, avanzare nelle tecnologie che consentano di diminuire i costi delle fonti energetiche alternative, puntare non soltanto alla riduzione dei consumi inutili ma anche all’espansione delle risorse necessarie per raggiungere obiettivi sempre più ambiziosi perchè tutti possano usufruire di livelli di civiltà che oggi riteniamo indispensabili. La soluzione del problema è nel progresso (tecnico, culturale, economico) non nel regresso guardando a un passato che non era affatto migliore dei nostri tempi. L’elenco delle cose da fare è lungo; se Greta è un simbolo di attenzione e di priorità per le nostre coscienze ben venga; se invece è soltanto una ragazzina alla ricerca di una visibilità mediatica che altrimenti non avrebbe, sarà meglio che torni sui banchi di scuola che qualcuno l’ha spinta ad abbandonare.
Franco Chiarenza
27 settembre 2019