I miei amici liberali (tanto per cambiare) sono assai divisi come votare nel referendum sulla riduzione dei parlamentari: per alcuni, schierati per il no, siamo di fronte a un attacco alla democrazia rappresentativa, primo passo verso l’ introduzione del mandato imperativo (attualmente escluso dall’art.67 della Costituzione), per altri si tratta di una ragionevole riduzione, anche in considerazione del fatto che il bicameralismo integrale vigente porta di fatto il numero dei legislatori quasi a quota mille, di gran lunga maggiore di ogni altro paese d’ Europa.

Le ragioni dei primi (fautori del no) sono in realtà politiche: vogliono far fallire un progetto che ha sempre caratterizzato il movimento Cinque Stelle accusandolo (giustamente) di cavalcare l’anti-politica colpendo il principio stesso di rappresentanza parlamentare. Perciò, al di là della questione di merito (per la verità poco difendibile) ritengono che ci si trovi davanti a un vero e proprio attacco alla democrazia mediante una modifica costituzionale mal formulata e fonte di infinite complicazioni quando ad essa si dovrà concretamente accompagnare una qualsiasi legge elettorale.
I liberali del sì obiettano che, almeno finora, le ragioni del no sono fondate su un processo alle intenzioni, in ogni caso difficilmente realizzabili almeno fin quando governerà l’attuale maggioranza in cui è determinante il partito democratico, saldamente ancorato ai principi della democrazia parlamentare. Nell’attuale situazione il numero dei parlamentari è certamente eccessivo (e, per la verità, i liberali lo denunciano da tempo) e diluire il sì in un generale consenso è anche una tattica per diminuire l’”effetto bandiera” che i grillini attribuiscono alla vicenda.

Personalmente, da “liberale qualunque”, credo che la questione sia irrilevante per i seguenti motivi che riassumo in breve:

  1. E’ certamente vero che il numero complessivo dei parlamentari (deputati e senatori) è eccessivo.
  2. E’ altrettanto vero che la modifica costituzionale per come è stata proposta e per le sue motivazioni (riduzione dei costi della politica) è incongrua, inefficace, mal formulata e puramente demagogica. Essa rischia, tra l’altro, di creare ulteriori ingorghi nell’attività legislativa, in pieno contrasto con le esigenze di semplificazione e di accelerazione da tutti invocate.
  3. Non è vero che la diminuzione dei parlamentari incida in maniera significativa sui costi della politica che sono ben altri e andrebbero effettivamente ridotti.
  4. E’ vero invece che esiste nel Paese un diffuso sentimento di indignazione per i privilegi che la classe politica si è attribuita ad ogni livello istituzionale (a cominciare dagli stipendi e dagli indifendibili vitalizi): chi semina vento raccoglie tempesta. I Cinque Stelle si sono limitati a raccogliere (nelle forme qualunquistiche che sono loro proprie) la protesta che ne è derivata. A prescindere dal referendum sarebbe bene che chi esercita il potere politico ne tenga conto anche in futuro.
  5. Tuttavia non riscontro nella riforma proposta alcun “attentato alla democrazia”. I poteri del parlamento restano intatti. Che essi siano diventati più formali che sostanziali è cosa che sappiamo da sempre; nella prima repubblica era una “camera di registrazione” della volontà dei partiti, nella seconda, col prevalere delle leadership carismatiche, la sua condizione non è migliorata e le ragioni della sua crisi vanno cercate altrove (anche nei sistemi elettorali); ne discutono da tempo giuristi, costituzionalisti, intellettuali di ogni colore.
  6. E’ grave invece che ancora una volta venga eluso il vero problema che è quello di differenziare i compiti e le modalità di elezione delle due Camere concentrando in una di esse (quella dei deputati) la fiducia al governo e l’approvazione dei bilanci e assegnando al Senato compiti di controllo in seconda lettura e una funzione di raccordo con le Regioni, sul modello del Bundesrat tedesco. Una riforma che potrebbe trovare un consenso trasversale se venisse trattata a sé senza essere inglobata in più complesse riforme costituzionali.
  7. Esiste un problema (non soltanto italiano) di introdurre quanto meno alcuni correttivi al principio di rappresentanza come lo abbiamo ereditato dal costituzionalismo ottocentesco. Forme controllate di revoca del mandato (recall election) sono studiate e sperimentate in tutto il mondo e non sarebbero in contrasto col modello liberale.

In sostanza: penso che il problema della funzionalità e della credibilità del parlamento non passi attraverso la riduzione dei suoi componenti , ma ritengo anche che i problemi della rappresentanza non debbano essere elusi difendendo lo status quo.
Per questo motivo mi asterrò nel referendum.

 

Franco Chiarenza
27 agosto 2020

Consenta a un “liberale qualunque” di esprimere nell’ambito di una dialettica rispettosa che tiene conto delle difficoltà in cui si trova il Capo dello Stato in un momento così complicato qualche riserva su alcuni suoi recenti comportamenti.
Lei non è un liberale; non lo è per radici politiche e culturali, se non per quella parte che il cattolicesimo democratico ha ereditato dalla concezione laica dello Stato che ha avuto in Sturzo prima e in De Gasperi poi i propri massimi esponenti. Ma i liberali hanno apprezzato il modo equilibrato con cui ha esercitato il suo mandato e il rispetto che ha sempre dimostrato per i principi fondanti della democrazia liberale. Proprio per questo mi permetto di contestare due momenti in cui la sua voce non si è levata come i liberali si sarebbero attesi.
La prima riguarda l’emergenza Covid: la proroga di uno stato di emergenza, qualunque siano le motivazioni (a mio avviso molto fragili) non può essere autorizzata da una maggioranza parlamentare senza che il Capo dello Stato non rilevi autorevolmente la necessità di regolare diversamente il problema dell’esercizio di poteri che comprendono la soppressione di diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, anche eventualmente integrando la Carta nei punti mancanti. Al contrario Lei ha affermato il principio che la tutela della libertà non comprende quella di fare ammalare (e quindi di danneggiare) gli altri, stabilendo un principio che potrebbe prestarsi in futuro a interpretazioni molto pericolose. Perchè se è vero che la libertà di ciascuno di noi trova un limite invalicabile nelle libertà altrui, è altrettanto vero che spetta allo Stato attraverso norme di carattere costituzionale stabilire dove si colloca tale confine. Soltanto attraverso la definizione dello “stato di emergenza” e la creazione di adeguati strumenti di controllo della sua gestione che non derivino da una semplice maggioranza parlamentare è possibile stabilire tempi, modi e caratteristiche di provvedimenti lesivi delle libertà individuali compatibili con uno stato di diritto. Tutte cose che lei ben conosce, per cui debbo ritenere che non avere colto l’occasione per ricordare al Parlamento e al Paese ragioni e limiti di una situazione emergenziale che lo sta strangolando, sia stata una scelta politica che rientra nella sua autonomia ma nei cui confronti non posso nascondere una delusione tanto più profonda quanto più elevata è la mia stima per la sua persona.
La seconda questione riguarda lo scandalo, ormai ricorrente, dell’intreccio che si è venuto a creare tra le forze politiche e l’attività della magistratura inquirente. Problema antico che lei ben conosce per essere stato dibattuto anche quando Lei faceva parte della Corte costituzionale, ma che ha assunto dopo lo scandalo Palamara e (perchè no) anche dopo le inquietanti rivelazioni sulle pressioni politiche che avrebbero accompagnato la sentenza definitiva di condanna di Silvio Berlusconi in Cassazione nel 2013, un rilievo che poteva giustificare da parte del Capo dello Stato, che è anche presidente del CSM, un intervento più significativo di quanto non sia stato nelle prudenti dichiarazioni che ho potuto leggere.
L’imparzialità dei giudici penali (imparzialità, non neutralità perchè, come mi ricordava Valerio Zanone quando ne discutevamo, la neutralità potrebbe intendersi nei confronti dei valori fondamentali della Repubblica), è vitale per la credibilità e il prestigio dell’ordine giudiziario, pilastri ineludibili della certezza del diritto. Non si può aspettare che la magistratura si riformi da sola; la sua autonomia non va confusa con un’autoreferenzialità corporativa.
Non sta a me, naturalmente, suggerire al presidente della Repubblica cosa fare, ma da cittadino e da liberale mi sarei aspettato un segnale forte, un messaggio al Parlamento per richiamarlo alle sue responsabilità, la dimostrazione di una preoccupazione che vada oltre la formulazione di qualche espressione di circostanza.

Cordiali saluti,  Franco Chiarenza.

17 agosto 2020

LQ: Che si dice sotto le stelle (Cinque o più) di questo “stato d’emergenza” infinito?

Unovaleuno: Non cambi mai, sei sempre il solito esagerato: è stato prorogato soltanto di due mesi o poco più, con una regolare votazione parlamentare.

LQ: E a te sembra normale che la sospensione dei diritti civili avvenga a colpi di maggioranza? Oggi con la scusa del Covid, e domani?

UvU: Il Covid 19 non è una “scusa”; è una pandemia che contagia e uccide centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo.

LQ: Noi abbiamo già pagato il nostro contributo: 35.000 morti e la paralisi dell’economia che minaccia di fare danni ancora maggiori.

UvU: Senza lo stato d’emergenza e il lockdown sarebbe stato molto peggio.

LQ: Tu credi davvero che il lockdown sia servito a qualcosa? Come mai paesi che lo hanno applicato in maniera meno rigorosa e per minor tempo non hanno un rapporto morti/ricoverati/popolazione diverso dal nostro?

UvU: i giornali sono pieni di notizie terrificanti che vengono proprio dai paesi che hanno sottovalutato il problema e che oggi se ne pentono come gli Stati Uniti, il Brasile o la Svezia.

LQ: i giornali italiani hanno tutti adottato una linea di sostegno alle misure emergenziali che in alcuni casi ha assunto toni terroristici attraverso una indegna manipolazione dei dati, soprattutto nei titoli.

UvU: le cifre e i dati sono quelli che sono e il governo si è mosso in base alle indicazioni del Comitato tecnico scientifico.

LQ: la pubblicazione dei verbali che il governo ha tentato di mantenere segreti dimostra che non è vero. Il CTS aveva consigliato di chiudere soltanto le regioni e le province dove i contagi avevano raggiunto livelli preoccupanti. La decisione di estendere il lockdown dalle Alpi al Lilibeo è stata una decisione politica di Conte, il quale poi ha proceduto a colpi di decreti sulla cui legittimità costituzionale io (e non soltanto io) esprimo qualche dubbio.

UvU: E’ un punto che è già stato chiarito. Non c’era il tempo di fare diversamente e comunque il parlamento ha sanato ogni anomalia. La verità è che voi liberali fate sempre obiezioni di principio che non tengono conto delle situazioni di emergenza.

LQ: I diritti delle persone non sono questioni marginali. E il danno economico che il Paese dovrà pagare in autunno con centinaia di migliaia di disoccupati si misurerà purtroppo con un aumento della povertà e delle disuguaglianze. Ma se il CTS aveva consigliato di non chiudere tutta l’Italia perchè, secondo te, il governo lo ha fatto? Per un principio di uguaglianza nella malattia? Uno malato, tutti malati, per solidarietà?

UvU: Sciocchezze: è stata una misura prudenziale, il contagio poteva espandersi anche al sud.

LQ: Ma non è avvenuto. Chiudi quando è necessario non prima. Mi domando: se Bergamo fosse stata in Sicilia credi che avrebbero chiuso tutto in Lombardia?

UvU: Il lockdown ha avuto una duplice funzione: quella precauzionale e anche una educativa. In un paese scarsamente disciplinato come il nostro dobbiamo prepararci a convivere con gli effetti sconvolgenti dell’emergenza climatica e di pandemie di cui abbiamo solo avuto un assaggio.

LQ: Finalmente: è la “decrescita felice”! Che però tanto felice non sembra.

UvU: Non scherzare: un’epoca è finita.

LQ: E dovremo rinunciare a qualche libertà, vero?

UvU: Già oggi le libertà democratiche nella loro formulazione ottocentesca rappresentano un’astrazione. Le masse sono diventate protagoniste senza intermediari perchè le nuove tecnologie digitali consentono livelli e modalità di partecipazione mai esistiti in precedenza.

LQ: Quindi non ho torto a ritenere che il Covid 19 abbia rappresentato per voi un’occasione da non perdere per sperimentare forme di controllo sociale da applicare anche in futuro a fronte di altre emergenze (per esempio ambientali).

UvU: In un certo senso sì.

LQ: E non credi, al di là di ogni disquisizione sui diritti inalienabili della persona, che questo rappresenti un rischio grave per la democrazia?

UvU: Dipende. Se il controllo politico resta aperto a tutti la democrazia cambia forma ma non sostanza. Naturalmente tutto dipende dall’informazione, dalle sue fonti, dai mezzi di comunicazione.

LQ: Appunto. E dalla manipolazione che se ne può fare anche attraverso i social o portali come il Rousseaux.

UvU: E ti pareva che non te la pigliavi con Rousseau, filosofo e portale?

LQ: A Rousseau noi liberali preferiamo sempre Tocqueville, Montesquieu, Locke e tutto ciò che ha portato alla concezione di “società aperta”. Ma non è il caso di cominciare una discussione di filosofia politica. Volevo soltanto conferma di alcuni miei sospetti. E l’ho avuta.