Sempre in cerca di visibilità e convinto che per marcare le distanze da un ingombrante alleato di governo (sia pure transitorio) come Salvini occorra “fare cose di sinistra” su cui la Lega non possa inseguirlo, Letta è andato a toccare una delle cose più sentite dagli italiani, il diritto di lasciare ai figli il proprio patrimonio (che, essendo nella maggioranza dei casi immobiliare, si intreccia con la propensione a investire nella casa). Ancora una volta, come in altri casi, si tratta di una proposta giusta in linea di principio ma sbagliata nei tempi e nei modi in cui viene proposta e che Draghi ha fatto benissimo a troncare sul nascere. Vediamo perché.
Strumento di perequazione economica?
Quando Einaudi ne sosteneva l’opportunità anche da un punto di vista liberale era a questo aspetto che si riferiva. Convinto assertore della meritocrazia e dell’iniziativa privata trovava l’ereditarietà dei grandi patrimoni un ostacolo allo sviluppo e un immobilizzo di risorse finanziarie paragonabile alla “mano morta” agricola dei grandi latifondi. Una adeguata e progressiva imposta di successione poteva rimettere in circolo adeguate risorse e ridurre i proventi da rendite passive che potevano ostacolare il rinnovamento generazionale. In linea di principio quindi, nel più assoluto rispetto dei principi liberali, una tassa di successione ben calibrata non dovrebbe scandalizzare nessuno anche senza trasformarla in una improbabile tassa di scopo (giovani, diciottenni, ecc.).
Bisogna però oggi fare i conti con la complessità finanziaria prodotta dalla globalizzazione che consente ai grandi patrimoni di sfuggire facilmente anche alla normale imposizione fiscale, figurarsi a una imposta patrimoniale! La parte maggiore della riscossione di una tassa di successione ricadrebbe oggi sui piccoli e medi risparmiatori che hanno investito nel mattone o in titoli di Stato (che verosimilmente verrebbero esentati). I costi di accertamento per patrimoni che superano i cinque milioni (dopo la correzione in corsa di una proposta che era partita da una soglia di un milione) sarebbero molto elevati e si verrebbe a creare un contenzioso di lunga durata, come è sempre avvenuto in esperienze precedenti.
Strumento per avvantaggiare i giovani?
E’ la parte più nebulosa della proposta di Letta. Quali giovani, in base a quali criteri, come si controlla l’uso che verrà fatto delle somme assegnate, quanto costeranno le verifiche per evitare scorrettezze fin troppo evidenti; sarà un bis del reddito di cittadinanza, riuscito come misura assistenziale, fallito come incentivo al lavoro? Ricompare ancora una volta dietro questa idea che vuole essere accattivante una concezione ingenua e paternalistica; i giovani come categoria sociale sono soltanto un fatto anagrafico (come diceva Benedetto Croce). Per il resto sono come gli adulti: ci sono quelli intelligenti e laboriosi ed altri che non lo sono, ci sono gli onesti e gli imbroglioni, ci sono quelli che hanno avuto vantaggi di partenza e non li hanno utilizzati e altri che invece fortemente svantaggiati (come tanti immigrati) hanno saputo affermarsi ugualmente. E’ vero che in Italia è urgente riattivare l’ascensore sociale e garantire di più l’uguaglianza dei punti di partenza ma si tratta di una questione molto complessa che non si risolve con misure demagogiche che potrebbero rivelarsi controproducenti se dovessero essere percepite come una minaccia al risparmio privato. Abbiamo sempre rimproverato Salvini per la disinvoltura con cui si esprimeva in materie economicamente sensibili per le ripercussioni che le dichiarazioni di un leader della maggioranza potevano avere sui mercati; e ora ci si mette anche Letta?
Il riequilibrio
Lo stop di Draghi non ha riguardato le comprensibili ragioni della proposta, ma piuttosto il momento e il modo con cui il leader del PD l’ha formulata. Il governo sta studiando un riassetto complessivo di tutto il sistema fiscale per uscire dalle logiche dei tamponi e affrontare il problema in maniera organica, per la prima volta dopo la riforma Vanoni del 1951. Occorre infatti rovesciare l’ottica che è stata utilizzata dal fisco fino ad oggi: non partire dalle necessità della pubblica amministrazione ma piuttosto dalla compatibilità del carico fiscale (complessivamente considerato) con le attività che producono ricchezza (ivi inclusi i servizi). Altrimenti il sistema continuerà ad essere squilibrato tra la tassazione del lavoro dipendente troppo elevata (ma difficile da evadere) e una colossale economia sommersa (o solo parzialmente emersa) di cui non si riesce nemmeno a conoscere la reale estensione. In tale contesto, accanto ad altre misure perequative, una ragionevole tassazione sulle successioni ereditarie che non comprometta gli assett gestionali ben collaudati delle imprese e non incida troppo sulla propensione al risparmio degli italiani che è strettamente legata ai passaggi generazionali, è opportuna anche per ragioni di moralità finanziaria alle quali la tradizione liberale non è mai stata indifferente.
Quanto alla destinazione ai giovani, altre sono le misure che si devono prendere: si chiamano borse di studio, prestiti d’onore garantiti dallo Stato, facilitazioni fiscali per le assunzioni, sistemi scolastici adeguati alle esigenze del mondo produttivo, sostegni familiari da erogare attraverso servizi efficienti (asili nido, aiuti domestici, strutture per anziani). Altro che “tesoretti di 10.000 euro da regalare ai diciottenni per sondare la loro capacità di utilizzarli saggiamente! Troppa grazia, Sant’ Enrico!
Franco Chiarenza
4 giugno 2021