Che Lepri fosse un liberale ho qualche dubbio (e ne spiegherò il perché); che sia stato un personaggio “non qualunque” è invece certo per l’importanza degli incarichi che ha svolto e per il rigore che in essi ha sempre impiegato. Ci conoscevamo e ci eravamo confrontati: lui asseriva e ribadiva in ogni occasione di essere “crociano”, io ne rilevavo le affinità politiche con personalità democristiane (come Fanfani e Bernabei) molto distanti dalla teoria e dalla prassi del liberalismo.
Quando pubblicai “Il cavallo morente” protestò per una nota del libro in cui lo accostavo appunto alle sorti politiche dei cattolici toscani (essendo lui pure, non a caso, di quella regione) ma alcuni anni dopo un suo libro-dialogo con l’ex direttore generale della RAI (“Permesso, scusi, grazie – Dialogo fra un cattolico fervente e un laico impenitente”) confermò pienamente la mia impressione che Lepri avesse in qualche modo accettato (come molti altri) un ruolo di “fiancheggiatore laico” di un disegno politico che derivava dall’integralismo religioso di La Pira e che era esplicitamente contrapposto all’individualismo liberale.
L’insistenza sulla sua connotazione crociana spiega in parte tale contraddizione, rifacendosi alla famosa disputa tra Croce e Einaudi vista come come antagonismo tra idealismo liberale e liberismo economico (il che rappresenta una semplificazione che non corrisponde alla realtà); anche nel libro citato colpisce il silenzio di Lepri a fronte delle tesi anti-capitaliste e complottiste di Bernabei.
Ne ho tratto la convinzione che il legame tra di loro fosse più sentimentale che politico, fondato su comuni esperienze politiche in un territorio come quello toscano dove il conflitto secolare tra fondamentalismo cristiano e individualismo mercantile è sempre stato marcato da precisi connotati politici: guelfi e ghibellini, Savonarola e Lorenzo de’ Medici, tanto per intenderci. Lepri e Bernabei (e Fanfani) forse si riconoscevano in queste radici che ancora producevano contrapposizioni quasi genetiche che tuttavia avevano trovato nell’anti fascismo e nella Resistenza momenti di convergenza.
Come direttore dell’ANSA Lepri si era fatto una meritata fama di intransigenza sia nel proteggere la maggiore agenzia di informazioni dalle inevitabili pressioni politiche sia nel pretendere dai suoi collaboratori il rispetto delle regole deontologiche che devono caratterizzare la professione giornalistica. Il prestigio e la credibilità dei mezzi di comunicazione dipendono anche dalla correttezza nella loro esposizione e dalla capacità di chiarire i difficili passaggi della politica (e dei cambiamenti sociali) senza banalizzazioni ma rendendoli comprensibili anche ai non addetti ai lavori.
Tutti coloro che hanno lavorato con lui riconoscono che fu un grande maestro.
Franco Chiarenza
25 gennaio 2022