La diversità italiana riguarda anche il variegato mondo che si definisce liberale; soltanto da noi infatti si levano tante voci che in nome del rifiuto all’omologazione si smarcano da opinioni considerate effetto di pregiudizi orchestrati da mass-media compiacenti. Lo abbiamo visto coi no-vax difesi da alcuni noti intellettuali e lo rivediamo oggi per l’Ucraina. Mi chiedo: davvero essere liberali significa fare i bastian-contrari ad ogni costo? La mia risposta è no perché altro è garantire la libertà di espressione, altro condividere alcuni contenuti per il solo fatto che contestano il parere della maggioranza. Poiché appartengo alla scuola del liberalismo metodologico (per il quale si è liberali più per il metodo che si adotta nel confronto che non per la qualità dei contenuti) credo che i liberali nel discutere di questi problemi debbano distinguere le questioni di principio dall’analisi dei fatti.
Sui no-vax, per esempio, c’è una questione di principio dalla quale i liberali non possono derogare: la libertà di ciascuno trova il suo limite nel rispetto dei diritti altrui. Se quindi si dimostra che determinate azioni provocano danno agli altri (per esempio tramite contagio infettivo) l’obbligo di vaccinazione è perfettamente compatibile con l’essere liberali. Naturalmente si può contestare che la libera circolazione sia davvero dannosa, e non, come insinuano alcuni no-vax, pretesti per limitare i diritti individuali, ma bisogna dimostrarlo in maniera convincente. Altrimenti scatta un altro principio liberale per il quale in caso di dissenso tra opinioni diverse prevale quella che raccoglie i maggiori consensi, il che si misura – almeno fino ad oggi – attraverso gli strumenti che la democrazia rappresentativa ci mette a disposizione: parlamento e governo. Ciò vuol dire che i liberali contestano ai dissenzienti il diritto di manifestare? Assolutamente no; le manifestazioni, quando non si trasformano in azioni violente, sono tutelate dalla Costituzione e rientrano nella libertà di esprimere con ogni mezzo il proprio pensiero. E allora? Allora significa soltanto che i no-vax non possono definirsi liberali, pur restando liberi, nell’ambito della legalità, di manifestare il proprio dissenso “illiberale”.
Nel caso dell’Ucraina la questione di principio preliminare è ancora più netta. Aggredire militarmente una nazione sovrana è sempre e comunque inaccettabile, qualunque siano le giustificazioni addotte; ancor di più se chi aggredisce rivendica un diritto alla “difesa preventiva” che trasformerebbe il mondo intero in una rissa permanente. L’Ucraina per esempio è stata attaccata dalla Russia per il timore che, pur esercitando la propria legittima sovranità, potesse trasformarsi in una base militare ostile; ma essa, come altri stati federati, faceva parte dell’Unione delle Repubbliche sovietiche e, come altri, dopo lo scioglimento dell’URSS aveva optato nel 1991 per l’indipendenza, ottenendo il pieno riconoscimento della comunità internazionale (Russia compresa). Nessuno quindi aveva il diritto di interferire militarmente per limitare la sua sovranità, qualunque ne fossero le motivazioni. Chi pensa che tale questione di principio possa essere accantonata per ragioni geo-politiche o per motivi di convenienza, esprime legittimamente un’opinione (purtroppo molto diffusa) ma non può definirsi liberale. Tra le ragioni dell’intervento la Russia ha anche sollevato la tutela delle minoranze russofone presenti nel Donbass e in altri territori ucraini. In proposito va rilevato che il problema delle garanzie per le minoranze costituisce un problema assai diffuso in tutto il mondo (e persino in Italia) ma è da tempo considerato come questione da regolare attraverso accordi che non mettano in discussione i confini nazionali riconosciuti dalla comunità internazionale che oggi si esprime essenzialmente nella partecipazione all’ONU, di cui l’Ucraina è membro a pieno titolo sin dal 1991.
Detto ciò si potrebbe por fine al dibattito. Ma nel caso dell’Ucraina il contesto geo-politico, da mantenere ben separato dalle questioni di principio, merita un approfondimento al quale, esaminate le tante diverse opinioni, non mi sottraggo.
La prima delle ragioni dei “giustificazionisti” (dell’aggressione russa) consiste sostanzialmente nei comportamenti “provocatori” della NATO che, violando gli impegni presi dopo la scomparsa dell’URSS, avrebbe inglobato nell’alleanza tutti i paesi dell’Europa orientale che erano membri del patto di Varsavia, aggiungendovi quelli baltici che si erano resi indipendenti. Se anche l’Ucraina – come aveva chiesto – fosse entrata a far parte della NATO i suoi missili sarebbero stati a poca distanza dalla Russia compromettendone la sicurezza. E’ un argomento che colpisce l’opinione pubblica meno informata e consente di distribuire equamente tra le due parti in conflitto la responsabilità di una guerra che, ovviamente, fa orrore a tutti.
Però le cose non sono andate così. E’ vero che dopo il crollo del muro di Berlino vi erano stati generici affidamenti verbali da parte americana di non allargare l’ambito dell’alleanza atlantica ai paesi che si erano liberati dal giogo sovietico, ma non ne era seguito alcun impegno ufficiale; anche perché i paesi interessati hanno insistito per farne parte. Poteva la NATO rifiutare protezione a paesi che la chiedevano proprio perché avevano fondate ragioni per difendersi dall’imperialismo russo? Si potrà obiettare che gli USA pretesero la smobilitazione dei missili sovietici a Cuba nella famosa crisi del 1962 ma dopo averla ottenuta (in cambio peraltro di misure analoghe in Turchia) il governo di Washington ha sempre rispettato la sovranità cubana, limitandosi a contrastarla con misure economiche (sanzioni) e politiche; insomma i carri armati – piaccia o no – fanno la differenza, tant’è che ancora oggi, a cinquant’anni di distanza a Cuba governa un regime esplicitamente anti-americano.
Ma anche se le nefandezze attribuite alla NATO fossero vere forse ciò potrebbe giustificare quelle che Putin sta perpetrando in Ucraina? Quando l’America ha compiuto interventi armati ingiustificati o comunque discutibili, giornali, opinionisti, intellettuali, uomini politici di parte avversa, si sono giustamente scatenati contro il governo di Washington; non ho visto nulla di simile in Russia dove le poche centinaia di giovani coraggiosi scesi in piazza per protestare sono spariti dalla circolazione senza che nessuno se ne scandalizzasse.
Certamente anch’io – come altri liberali – sono convinto che negli anni ’90, dopo il crollo del regime comunista non si colse l’occasione per trasformare l’alleanza atlantica in uno strumento diverso volto a garantire pace e sicurezza nelle “aree calde” dell’emisfero occidentale in collaborazione con la Russia e non contro di essa. In un primo tempo infatti i tentativi di incorporare la Russia in un sistema di coordinamento e stabilizzazione dettero qualche risultato (il G7 per esempio divenne G8 con la Russia) ma non si andò molto oltre per il prevalere a Mosca di un regime sempre più autoritario (elezioni truccate, oppositori imprigionati, stampa imbavagliata, ripudio dello stato di diritto, “superamento” del liberalismo”) che allarmavano i paesi europei, confinanti e non. Peraltro, malgrado il peggioramento delle relazioni, la presenza militare della NATO non ha mai assunto dimensioni tali da potere costituire una minaccia per la Russia essendo le forze armate russe di gran lunga superiori (anche nello spiegamento di armi nucleari). Per di più la NATO, malgrado le incessanti richieste dell’Ucraina e della Georgia (quando la sua sovranità non era ancora stata limitata da Putin; ma nessuno ricorda tale precedente) è stata molto prudente e non ha mai allargato ulteriormente il suo perimetro.
Un altro argomento molto usato dai “giustificazionisti” è quello della neutralità e del disarmo dell’Ucraina come richiesta legittima della Russia. Ma esso rientra in quello più ampio (e di principio) della legittimità di imporre limitazioni alla sovranità di altri paesi, non soltanto nei fatti ma anche formalmente; in proposito si citano i precedenti dell’Austria e della Finlandia dimenticando però che si tratta di due paesi usciti sconfitti dal crollo del nazismo nel 1945 i quali, come avvenne anche per la Germania e l’Italia, non poterono fare valere le proprie ragioni quando i vincitori ne decisero i destini. Per l’Ucraina è diverso, si tratta di legittimare l’uso delle armi per coartare la volontà di un altro popolo. Si chiama guerra (e non è un caso che Putin non voglia definirla tale). Comunque poiché la politica (soprattutto quella internazionale) è fatta di compromessi, alla fine probabilmente i russi riusciranno a imporre una soluzione del genere; ma non viene in mente ai liberali che si tratta di una misura che limitando la libertà degli ucraini di decidere da che parte stare non è compatibile con i principi di autodeterminazione a cui dicono di ispirarsi?
Infine resta l’Europa. Sull’adesione dell’Ucraina all’Unione le obiezioni dei “giustificazionisti” sono più deboli, limitandosi a porre la condizione che il paese a sovranità limitata non entri a far parte di eventuali future forme di integrazione politica e militare. Se proprio l’Ucraina vuole far parte del parlamento europeo faccia pure, purché sia chiaro che prima di votare al Consiglio dei capi di stato e di governo a Bruxelles il governo di Kiev farà bene a consultarsi con Mosca.
Ai “giustificazionisti geopolitici” che teorizzano il diritto dei più forti di ottenere garanzie dai più deboli (invece del contrario, come ogni liberale dovrebbe volere) si aggiungono gli opportunisti, quelli che dicono che non bisogna aiutare la resistenza ucraina perché tanto non può impedire il peggio: meglio arrendersi senza tante storie e smettere di disturbare il nostro quieto vivere. Sono della stessa razza di quelli che non si sono mai schierati, il cui neutralismo è sempre servito a coprire la loro viltà, né coi nazi-fascisti né coi partigiani, né coi terroristi né con lo Stato, sempre grigi, pronti a schierarsi col vincitore e soltanto quando è chiaro chi ha vinto. Ci sono sempre stati, ci saranno sempre, non fanno la storia ma ne condizionano gli sviluppi collaterali. Quando non avranno altri argomenti diranno che non vogliono adeguarsi al pensiero unico. Sono liberali? Se lo fossero io dovrei collocarmi altrove.
P.S. Non ho trattato un’altra specie di “giustificazionisti” quella degli anti-americani “a prescindere”. Sono più numerosi di quanto si crede (anche in America) e sostengono tutte le accuse correnti contro l’egemonia degli Stati Uniti (di cui peraltro profetizzano soddisfatti l’imminente crollo ad opera dei benemeriti cinesi) in quanto portatori di un modello intrinsecamente illiberale perché fondato sulle diseguaglianze strutturali. Ad essi dico soltanto che un liberale, in prima fila nel criticare i difetti del sistema americano, considera l’equilibrio dei poteri che si è consolidato in duecento anni di storia l’esempio più significativo di una cultura liberale realizzata ma se proprio dovessi scegliere tra l’imperialismo americano e quelli che ci propongono Putin e Xi Jinpeng non ho dubbi dove collocarmi. Ma il bello è che non avrebbero dubbi nemmeno gli anti-americani (andandosi a rifugiare in America come hanno fatto i loro progenitori italiani, tedeschi e ebrei).
Conosco l’obiezione: né con gli uni né con gli altri, invece in Europa. Ma allora bisogna farla questa Europa politica e militare; il che ha dei costi non indifferenti. E quando mi volto per arringare questi europeisti del né mi ritrovo solo come Alberto Sordi all’uscita della galleria nel film “Tutti a casa”.
Franco Chiarenza
30 marzo 2022