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Non è il ritorno alla guerra fredda (che era incruenta, almeno in Europa), non è (ancora) una calda guerra mondiale, ma è un conflitto che può durare a lungo e avere conseguenze cruciali per il futuro. Come finirà? A breve termine quasi certamente con la sconfitta dell’Ucraina sottoposta a uno strangolamento progressivo che ne minerà le capacità di resistenza. Le potenze occidentali si troveranno nell’impossibilità di agire per aiutarla più di quanto hanno già fatto per tre ragioni: l’impossibilità di attivare gli strumenti militari della NATO senza rischiare un conflitto nucleare (al di là delle ragioni formali che non impedirono l’intervento nel Kossovo contro la Serbia), le difficoltà crescenti di molti paesi europei sotto ricatto energetico (a cominciare dalla Germania), la scarsa efficacia delle sanzioni in tempi brevi.
Dotare l’Ucraina di armi tecnologicamente avanzate è stato certamente ciò che ha prodotto sorpresa e sbandamento nella prima fase della guerra, costringendo i russi a ripiegare sul Donbass, ma è una strategia che trova due limiti: la mancanza di una adeguata copertura aerea (no fly zone) che gli Stati Uniti non vogliono attivare per evitare una ulteriore escalation, e il timore che nuovi armamenti sofisticati cadano nelle mani dei russi nella fase conclusiva del conflitto (come è avvenuto in Afghanistan ma con la differenza che a Kabul si trattava di armamenti poco più che tradizionali e che comunque i talebani non erano in grado di utilizzare, mentre con i russi sarebbe tutt’altra storia).
Per quanto attiene il ricatto energetico, malgrado gli sforzi di Draghi e di Scholz, per almeno due anni le forniture russe resteranno indispensabili e ciò rende la pace – checchè se ne dica – un obiettivo da conseguire rapidamente. Ad ogni costo? Certamente no e Putin dovrà necessariamente tenere conto che per fronteggiare le sanzioni occidentali la Russia ha bisogno di vendere il proprio gas e soltanto l’Europa (e in particolare la Germania e l’Italia) sono in grado di acquistarlo a prezzi elevati (specialmente se pagati in rubli rivalutati).
Le sanzioni infine. Rappresentano certamente per la Russia un danno non indifferente ma non tale da provocarne il collasso economico, almeno fin quando continueranno le vendite di gas all’Europa. Anche perchè al di fuori delle grandi città più “occidentalizzate” (Mosca e San Pietroburgo soprattutto) l’immensa periferia russa è abituata a consumi contenuti ed è sensibile al richiamo nazionalista dell’orgoglio autarchico (una carta che giocò con successo il fascismo quando l’Italia fu sanzionata per avere aggredito e invaso uno stato indipendente come l’Etiopia; direi che qualche analogia con l’Ucraina è riscontrabile).
Nulla quindi, in tempi brevi, potrà fermare la Russia e si tratta soltanto di capire fino a che punto Putin voglia spingersi; il che dipende da considerazioni che vanno ben oltre l’Ucraina e le rivendicazioni territoriali. Se, come molti analisti sostengono, questa è soltanto l’anteprima di un conflitto tra Russia e Stati Uniti che ha come obiettivo il controllo dell’Europa, tanto benestante economicamente quanto fragile politicamente, la partita sarà lunga e coinvolgerà la Cina, finora piuttosto riluttante a impegnarsi in Europa e in Medio Oriente. Per ridurre l’egemonia americana Xi Jinpeng punta altrove le sue carte (in Estremo Oriente, in Africa, ecc.).

Nei tempi lunghi invece la guerra scatenata da Putin rischia di essere un boomerang per diversi motivi: innanzi tutto perchè con l’adesione della Svezia e della Finlandia all’alleanza atlantica si è favorito quello che per l’autocrate russo è l’accerchiamento occidentale, ridando nuova vitalità (anche militare) alla NATO che pareva ormai destinata alla rottamazione (tre anni fa Macron l’aveva definita “in stato di morte cerebrale”). Inoltre ha dato il via senza più remore al riarmo della Germania senza vincoli europei che costituisce comunque – al di là del ricordo storico – un’alterazione non secondaria degli equilibri militari nel vecchio continente. In secondo luogo perchè la ridefinizione dei confini occidentali con l’incorporazione “manu militari” della Crimea, del Donbass e di altre regioni ucraine determinerà una conflittualità irreversibile (ovviamente alimentata dall’Occidente) che potrebbe protrarsi a lungo; il che renderebbe semi-permanenti le sanzioni e l’isolamento economico e finanziario della Russia con un danno – al netto di acquisti decrescenti di gas – molto più rilevante di quanto ne subisca l’ Europa. Infine Putin sottovaluta l’importanza della “guerra mediatica” che ha accompagnato quella militare; Zalewsky è stato molto abile nel promuovere in tutto il mondo l’immagine dell’Ucraina martire della violenza russa la quale difende con le unghie e con i denti la propria indipendenza, mettendo in difficoltà quei partiti e movimenti occidentali che il regime russo ha favorito e sostenuto in funzione anti-americana (per esempio Le Pen in Francia, Salvini in Italia, Orban in Ungheria, ecc.). Quand’anche la guerra cessasse con la sconfitta militare dell’Ucraina dal punto di vista morale ne uscirebbe vincente la Resistenza ucraina e la ferita inferta alle relazioni russo-ucraine potrebbe restare aperta per intere generazioni.
Ecco perchè la domanda resta sempre la stessa: ne valeva la pena?

Franco Chiarenza
28 maggio 2022

Torna a farsi sentire la vena satirica di Saro Freni dopo il suo fortunato esordio (Lettere dall’Italia – 2016). Ancora una volta si tratta di ritratti disegnati per lettori stranieri che vogliano capire qualcosa di questo strano nostro Paese; un esercizio, quello di vederci con occhi a noi estranei, altre volte praticato e non sempre riuscito perchè inevitabilmente si finisce per guardarsi allo specchio, il quale, per deformato che sia, non corrisponde sempre a come davvero ci percepiscono gli altri. Premesso quindi che il libro si legge con grande piacere anche per la scrittura ironica ma sempre garbata che riflette la personalità dell’autore, rara avis in un mondo dove la volgarità sembra diventata la regola (soprattutto quando si parla di avversari), ho riscontrato qualche criticità che l’amicizia per Saro non mi consente di trascurare.
La prima riguarda la cronologia. I ritratti sono necessariamente datati (si tratta infatti di una raccolta di articoli pubblicati su un giornale svizzero) e per qualcuno di essi le novità che si sono aggiunte rendono i profili abbozzati poco adattabili agli avvenimenti successivi. Ciò vale soprattutto per la politica anche perchè in certi momenti essa ha assunto da noi tempi e modi talmente frenetici che è difficile pure per gli italiani seguirne i ritmi sconvolgenti; non fai in tempo a scrivere di un governo che pochi giorni dopo i suoi componenti sono all’opposizione, spegni il computer e li ritrovi alleati con quelli che risultavano essere i peggiori nemici, si dimentica quanto era stato detto il giorno prima o addirittura se ne rovescia il significato, persino l’abbigliamento confonde le idee, chi era in t-shirt fino a quel giorno ricompare improvvisamente in giacca e cravatta e, al contrario, compassati dilettanti del potere ingessati in un completo grigio scoprono la gioia del deshabillè. Più che un libro servirebbe un blog continuamente aggiornato.
La seconda osservazione è più seria. In alcuni articoli il mio amico Saro si incazza. Abbandona il tono ironico e disinvolto per assumerne uno diverso, più preoccupato. Lo capisco, per come stanno le cose ci sarebbe da incavolarsi tutti i giorni; ma è una mutazione che mi ha sorpreso perchè rivela un timore profondo ben diverso dal sarcasmo con cui vengono giustamente trattati certi personaggi che occupano indecorosamente la ribalta (non soltanto politica); ne risulta una satira amara e pessimistica che induce a riflettere, come dire che non è più tempo di scherzare. Il mio inossidabile ottimismo ne resta inevitabilmente compromesso e il “dover essere” sostituisce la leggerezza irridente del “come siamo”. Quando gli amici svizzeri che leggono i suoi divertenti ritratti faranno parte della NATO (ammesso che ciò avvenga davvero) si renderanno conto perchè noi ci siamo entrati sin dal 1949, pur essendo l’Atlantico piuttosto lontano dalle nostre coste. Il fatto è che gli italiani cercano sempre qualcuno o qualcosa che li protegga per poi esercitare nei suoi confronti lo sport che preferiscono (dopo il tifo calcistico): il tiro a segno della maldicenza. Ma se Freni non ha deciso di assumere la cittadinanza svizzera farà meglio a rassegnarsi e continuare con ironia a descrivere lo spettacolo messo in scena quotidianamente dai nostri connazionali; se è vero che il teatro serve a mascherare la realtà fingendola diversa, come Pirandello ci ha insegnato, bisogna riconoscere il loro talento nella recitazione. La tragedia – invisibile – si consuma dietro le quinte dove gli attori devono prendere atto che le cose che contano si decidono e si fanno altrove. Rivelando a sipario aperto le loro debolezze e le loro finzioni Saro Freni infrange la sacralità del palcoscenico. Corre voce che un “teatrante” stia facendo scomparire tutte le copie del suo libro dalle librerie; ragione di più per acquistarlo subito.

Franco Chiarenza

Saro Freni: Che figure! (Rubbettino – Soveria Mannelli 2022) – pag. 152

Il destino dell’Ucraina di Simone Attilio Bellezza (ed Scholé) – denso e circostanziato – è una descrizione dell’evoluzione dell’Ucraina verso la democrazia. La società post sovietica è la stessa descritta nella “La Russia di Putin” di Anna Politkovskaja: ex dirigenti sovietici ed ex componenti dell’organizzazione giovanile comunista che appropriandosi dei settori produttivi del Paese si trasformano in ricchi oligarchi. Violenza, clientele e corruzione ovunque, e persone da un passato dubbio fanno ricche carriere politiche, come il futuro presidente Victor Janukovic, da adolescente “criminale di quartiere con a carico rapine a mano armata e violenza privata”. “La massima camera di compensazione e direzione di questo sistema di clientele politico-economiche era il Parlamento dove sedevano gli oligarchi che si spartivano le parti più importanti del potere economico e politico”.

Il distacco dalla Russia inizia con la disgregazione dell’URSS, con le dichiarazioni di sovranità nel 1990 e poi di indipendenza da Mosca nel ‘91 e si sviluppa nei travagliati anni successivi: l’Ucraina tende verso l’Unione Europea allontanandosi da una Russia che non accetta accanto a sé modelli di evoluzioni diversi e concorrenti. Qui l’autore fa notare che “sia in russo che in ucraino l’aggettivo ‘europeo’ aveva il significato secondario di “bello, prestigioso, ricco”.

Lo sviluppo verso democrazia e libertà non è indolore: lotte politiche, manifestazioni di protesta di centinaia di migliaia di persone, brutali repressioni della polizia che nel febbraio 2014 spara sui manifestanti provocando 77 morti in soli 2 giorni con successiva fuga in Russia del presidente Janukovic e con Putin che fa subito approvare dal Parlamento l’autorizzazione a utilizzare truppe russe in Ucraina. Segue l’occupazione della Crimea da soldati russi ”anonimi” non contrastati dai soldati ucraini a cui era stato ordinato di non agire per evitare una guerra con Mosca. Successivamente un referendum in “un clima di terrore” con affluenza e opzione per la Russia ufficialmente dell’83 e del 96% mentre i dati reali, pubblicati per errore, risultavano rispettivamente del 30 e del 15 %. Successive operazioni di Mosca che facendo leva sulle popolazioni più russofone provoca/favorisce la nascita di repubbliche autonome nel sud dell’Ucraina.

La restante parte del libro arriva alla elezione di Zelenski ma non ancora all’attuale guerra, prevista ma non ancora iniziata.

Il libro è la cronografia della non facile evoluzione dell’Ucraina verso uno stile istituzionale europeo costata cara nel suo sviluppo e molto di più nella sua attuale tragica situazione non ancora conclusa ma che sta dando all’Ucraina una identità che forse non ha mai avuto, creando eroi e leggende quasi fondative dello stato; e provocando negli altri paesi europei ammirazione e solidarietà. Situazione che sta anche creando con la Russia solchi che potranno essere superati solo dopo la scomparsa delle generazioni che stanno vivendo l’attuale gratuita tragedia provocata e diretta in prima persona dall’ex KGB Putin.

È leggendo “La Russia di Putin” (Adelphi) scritto da Anna Politkovskaja nel 2004 che si capisce perché Anna Politkovskaja sia stata uccisa e quanto sia plausibile il sospetto che sia stata uccisa il 7 ottobre 2006, come regalo a Vladimir Putin, che nato il 7 ottobre 1952, quel giorno compiva il suo 54esimo compleanno.

È un libro di un coraggio estremo, il quadro di una Russia che “è il prodotto dell’Unione Sovietica”, dove la corruzione, generalizzata e gerarchizzata con in testa il suo presidente, costituisce l’organizzazione stessa dello stato; dove le ricchezze degli oligarchi sono i risultati della privatizzazione di pezzi di stato di cui si sono impossessati coloro che al momento dello sfaldamento dell’Unione Sovietica erano all’interno dello stato nelle posizioni e condizioni di farlo, persone cioè della “nomenclatura” del partito comunista. Una società dove tutto ha un prezzo, dove ogni ricchezza nasce e si mantiene pagando burocrati, polizia e tribunali. Dove le aziende che funzionano vengono spolpate, chi alza la testa viene fisicamente eliminato e gli ex soldati e ufficiali che hanno combattuto anni e anni in Cecenia, non più adatti alla vita civile e non sapendo fare altro che combattere e uccidere, si sono riciclati in killer e guardie del corpo.

Qua e là c’è un certo rimpianto per le speranze sorte con Gorbaciov e Elsin e subito cessate con l’arrivo di Putin che ha portato con sé i suoi sodali del KGB e questi a loro volta i loro colleghi e così via invadendo ogni punto nevralgico dello stato che è tornato a ritroso verso il mondo di Stalin. E in questo revanscismo Anna Politkovskaja cita anche l’aiuto avuto da Putin dal “coro di osanna” di molti dei leader politici dell’occidente. Un Putin che va avanti finché non incontra resistenza, che “tasta il terreno e sonda le reazioni e che se non ce ne sono o sono amorfe e gelatinose procede”. L’autrice però non incolpa gli altri per lo stato della Russia ma fa l’autocritica: “le nostre reazioni a quel che ha detto e fatto sono state non solo fiacche ma impaurite” mentre “il KGB rispetta solo i forti, i deboli li sbrana”.

Si parla delle guerre cecene, dei crimini di guerra, dei bombardamenti su città e villaggi, delle vendette e degli stupri lì commessi, del cinismo e della disumanità verso i civile così come vediamo ora nella guerra contro L’Ucraina. E l’esercito è un corpo assolutamente chiuso su se stesso, dove si ruba di tutto e dove ognuno esercita il proprio potere su chi è di grado inferiore anche picchiandolo. Si descrive il razzismo verso i ceceni che vivevano in Russia, perseguitati e arrestati con false prove da una polizia senza scrupoli.

Si parla in modo dettagliato anche degli attentati nel teatro Dubrovka del 2003 e nella scuola di Beslan del 2004 con il cinismo e la rozzezza degli interventi, l’uso di gas e i conseguenti massacri poi da ignorare e nascondere anche togliendo voce a sopravvissuti e parenti.

Al termine del suo libro Anna Politkovskaja si domanda perché ce l’ha tanto con Putin. La risposta – evidente – sta nel mondo che descrive e che spiega anche perché Putin ce l’ha avuta così tanto con lei che qualcuno ha ritenuto opportuno festeggiare il suo 54esimo compleanno regalandogli la vita di questa esemplare coraggiosa giornalista della Novaia Gazeta di Mosca.