Il 12 giugno, in coincidenza con il rinnovo di alcune amministrazioni comunali, si vota anche per i referendum proposti dai radicali per modificare l’ordinamento giudiziario. Il liberale qualunque vota sì e spiega perché.
Innanzi tutto per dare un segnale forte di protesta che prescinde dai singoli quesiti e dalle inevitabili tecnicalità che non sono alla portata di tutti; una protesta che riguarda l’inefficienza del sistema sia nella giustizia civile che in quella penale. Una giustizia lenta e inaffidabile non è soltanto ingiusta ma costituisce soprattutto un danno per l’intero “sistema Paese” perché compromette il funzionamento dello stato di diritto, fondamentale non soltanto per la tutela dei diritti individuali ma anche per assicurare la certezza dei diritti e delle regole in una sana e competitiva economia di mercato. Introdurre nell’ordinamento elementi di valutazione sulla produttività dei magistrati consentendo a rappresentanti dell’ordine forense e docenti di diritto di far parte degli organi a ciò preposti servirebbe a ridurre scompensi che penalizzano i tanti magistrati che fanno il loro dovere al meglio delle loro possibilità.
Ci sono poi due punti che ad ogni liberale stanno a cuore: la separazione delle carriere che sancisce competenze diverse e non intercambiabili tra le procure e i giudici, assicurando a questi ultimi quella terzietà tra accusa e difesa che è alla base del diritto penale nella più moderna tradizione giuridica occidentale. Lo sosteneva anche il più grande dei nostri magistrati inquirenti, quel Giovanni Falcone al quale innalziamo statue per meglio ignorarne gli ammonimenti.

In proposito sarebbe necessaria una riforma più radicale che seppellisse definitivamente l’eredità della scuola giuridica tedesca che, al contrario di quella anglosassone, si è sviluppata nell’Ottocento sul principio della superiorità dello Stato su ogni diritto individuale e alla quale dobbiamo il codice fascista di Alfredo Rocco, ancora in gran parte vigente. Ma questo va oltre i referendum di cui discutiamo.
L’altra questione che sta a cuore ai liberali è l’abuso della carcerazione preventiva, spesso utilizzata dalla magistratura inquirente (i pubblici ministeri, tanto per intenderci) come strumenti di pressione per ottenere “collaborazioni” assai poco spontanee e spesso rivelatesi poi inaffidabili.
Vi sono altre questioni, in parte affrontate dalla riforma Cartabia che dovrà essere votata in parlamento nei prossimi giorni: le “porte girevoli” tra politica e magistratura (chi sceglie la politica resti lontano da funzioni giudiziarie), il protagonismo mediatico che incrina seriamente il principio costituzionale della presunzione di innocenza, la violazione sistematica del segreto istruttorio, ecc.
A queste deficienze strutturali denunciate inutilmente da anni si sono poi accompagnate le “rivelazioni” di Luca Palamara che non aggiungono nulla a quanto già si sapeva ma sono gravissime perchè provengono da un protagonista che si auto-denuncia e per il silenzio imbarazzante che le ha accompagnate. Il sì ai referendum significa anche questo: basta a un sistema che ha prodotto danni gravissimi al prestigio della magistratura coprendo sistematicamente corruzione, privilegi, parzialità, trasformandola in un potere occulto su cui i cittadini non riescono ad esercitare alcuna forma di controllo.

L’obiezione principale che i fautori del no oppongono ai referendum riguarda la necessità di affrontare una questione complessa come certamente è la riforma della giustizia in sede parlamentare con tutte le cautele necessarie; il che sarebbe giusto se il parlamento, facendo proprie le resistenze corporative dell’associazione dei magistrati, non avesse sempre rinviato sine die ogni tentativo di trovare soluzioni ragionevoli quali possono scaturire soltanto da un confronto serio e partecipato. I referendum abrogativi che cercano di risolvere le carenze legislative attraverso complicati “taglia e cuci” delle norme esistenti non sono mai auspicabili ma rappresentano l’unico modo di interpretare i sentimenti della pubblica opinione quando il Parlamento non svolge i compiti che la Costituzione gli assegna. La stessa Corte costituzionale non fa che richiamare le Camere ai loro doveri, rifiutando giustamente un ruolo di supplenza che il principio della divisione dei poteri non gli consente.
Naturalmente il passaggio parlamentare sarà ineludibile ma altro è arrivarci con alle spalle un referendum che ha chiaramente indicato i punti critici che vanno affrontati e come risolverli, diversa cosa dare il pretesto per rimettere di nuovo tutto nei cassetti delle burocrazie di Montecitorio e palazzo Madama e ivi lasciarle ammuffire. Come si è fatto in passato.

Franco Chiarenza
9 giugno 2022

Un libro – questo di Gianna Radiconcini – quasi postumo, finito di scrivere pochi giorni prima di concludere la sua lunga attivissima esistenza. Si tratta di una straordinaria testimonianza di vita per almeno tre ragioni: la prima è certamente la singolarità del personaggio che ha attraversato un periodo di cruciali trasformazioni politiche e sociali senza mai perdere l’occasione per sentirsi partecipante attiva di quei cambiamenti. Il secondo motivo di interesse sta nel modo in cui ha vissuto la sua condizione femminile e le complicazioni familiari facendole diventare battaglie per la liberazione della donna in un contesto politico e giuridico che rendeva problematico anche alle più preparate di loro di svolgere un impegno attivo in un mondo ancora fortemente maschilista. La terza, non ultima, ragione di interesse si connette alla sua professione giornalistica che esercitò con scrupolo e passione e che le ha consentito di assistere a molti eventi epocali “in diretta”.
Gianna Radiconcini era una donna d’azione, non soltanto per avere militato dopo la guerra nel partito d’azione (seguendo poi, al momento della scissione, la scelta compiuta da Parri e da La Malfa), ma soprattutto per il suo modo di concepire la politica sempre come impegno militante al quale apportava un entusiasmo “ragazzesco” che sfiorava l’ingenuità. Il che le ha anche consentito di svolgere un ruolo di pressione sul suo partito perchè si facesse carico in sede di governo delle due grandi tematiche che l’appassionavano: la riforma del diritto di famiglia (ancora fermo alle norme fasciste del codice) e la causa dell’unità europea nella visione federalista di Altiero Spinelli di cui era stata grande ammiratrice. L’Europa del trattato di Maastricht con le sue estenuanti mediazioni che si celebravano tra Bruxelles e Strasburgo non poteva soddisfare i suoi slanci idealistici, ma ciò non le impediva di svolgere il suo lavoro di corrispondente della RAI con correttezza e serietà, sempre giustamente denunciando la scarsa attenzione che la politica italiana in quegli anni sembrava dedicare a una questione tanto importante.
Gianna Radiconcini era sempre indignata (e chi, come me, la conosceva, lo sapeva bene) contro qualcuno o qualcosa che violava i principi di moralità politica in cui si riconosceva e, di conseguenza, era poco propensa alla virtù liberale della tolleranza. Non stupisce quindi che il libro rifletta il suo carattere, che certi profili siano tagliati con l’accetta, certi fenomeni vengano interpretati in modo severo e senza attenuanti; il che nulla toglie alla straordinarietà di una testimonianza che percorre quasi un secolo, aprendosi coi ricordi della Resistenza a Roma nel 1944 andando avanti tra alti e bassi sempre in attesa che si realizzi una vera unità europea che invece non arrivava mai.
Sempre attiva fino all’ultimo ha scritto questo libro – gradevolissimo da leggere – in punta di penna, con una vena ironica che non trascende mai nel pessimismo. Lo dovrebbero leggere i più giovani (tra quei pochi che ancora lo fanno) per capire con quanta intensità si può vivere la propria esistenza quando la si considera al servizio degli altri, avendo come guida le proprie idee e la capacità di confrontarle con tutti. Per questa passione un po’ ingenua ma trascinante aveva sempre successo quando andava a parlare nelle scuole; tra ragazzi ci si intende.

Franco Chiarenza

Gianna Radiconcini: Profili a memoria. (La Lepre Edizioni – Roma 2022 – pag.222, euro 16)