Quelli che sul conflitto russo-ucraino la pensano come il mio amico Marcello sono coloro che in buona fede ritengono che il prezzo che stiamo pagando per sostenere la resistenza ucraina sia sproporzionato rispetto alle buone ragioni degli ucraini e che la real politik tanto spesso utilizzata dai paesi occidentali per tutelare i propri interessi avrebbe richiesto una maggiore comprensione del movente che ha spinto i russi ad agire. Anche perché interrompere i rapporti commerciali con la Russia è controproducente e inviare armi sofisticate all’Ucraina un’inutile provocazione che apporta sempre maggiori sofferenze alla popolazione civile. Insomma, al di là di qualche doverosa protesta verbale, bisognava lasciare che gli ucraini si arrangiassero e gli artigli della NATO mollassero la presa. Io non la penso così e ne spiego sinteticamente i motivi.
- I casi sono due: o il conflitto è nato perché le minoranze russofone del Donbass erano perseguitate, oppure si tratta di una guerra scatenata per altre ragioni.
Nel primo caso una violazione così clamorosa del diritto internazionale come un intervento armato è assolutamente esagerato rispetto all’obiettivo dichiarato e comunque non avrebbe dovuto essere esteso a tutto il territorio ucraino. Ne consegue che le vere ragioni sono altre né, per la verità, Putin lo ha nascosto più di tanto. Si tratta di capire quali sono e se siano tali da giustificare la reazione dei paesi occidentali. - La prima motivazione è la “sicurezza” della Russia che verrebbe minacciata dalla presenza della NATO (che è peraltro un’alleanza militare con finalità difensive) nei paesi confinanti. Il problema sorge infatti per l’Ucraina che non fa parte della NATO (ma vorrebbe) e non – almeno per ora – per gli altri paesi di frontiera (Lettonia, Lituania, Estonia, Polonia, Romania) già coperti dall’ombrello NATO. La Finlandia e la Svezia, sempre portate a esempio di una possibile neutralità, sono rimaste talmente sconvolte dall’azione aggressiva della Russia da precipitarsi a chiedere l’adesione alla NATO. Resta il dubbio se stiamo discutendo della sicurezza russa da un’aggressione della NATO o piuttosto della sicurezza di piccoli paesi confinanti minacciati dalle velleità neo-imperiali di Putin.
- Comunque, a prescindere dalle preoccupazioni che l’espansionismo russo suscita nel Baltico, l’intervento a gamba tesa di Putin avrebbe – secondo i suoi sostenitori – un carattere sostanzialmente preventivo al fine di ottenere la neutralizzazione forzata dell’Ucraina. Ma se solo di questo si trattasse era possibile trovare una soluzione concordata sulla base degli accordi di Minsk che l’Ucraina non ha mai escluso e che lo stesso Biden (a quanto risulta dalle recenti rivelazioni di Macron) era disposto a discutere prima dell’invasione.
- La seconda ragione addotta dagli aggressori è il fatto che l’Ucraina faceva parte dell’Unione Sovietica e che la sua identità etnica è poco dimostrabile al di fuori della grande storia pan-russa anche prima dell’URSS. Affermazione discutibile ma che comunque non può essere addotta per infrangere i trattati internazionali senza produrre inevitabili effetti a cascata nei tanti casi in cui i confini nazionali non corrispondono, in tutto o in parte, con quelli etnici e linguistici. L’esistenza dell’Ucraina come stato indipendente non è mai stata messa in discussione nemmeno ai tempi dell’URSS, tanto che sin dalla fine della seconda guerra mondiale essa ha un suo rappresentante all’ONU al pari delle altre nazioni che ne fanno parte.
- Veniamo infine alla vera motivazione di questa assurda guerra decisa freddamente a tavolino quando c’erano tutte le condizioni per evitarla; la si può ricavare dal discorso di Putin a San Pietroburgo in occasione delle celebrazioni dello zar Pietro il Grande nel quale le intenzioni della nomenklatura russa sono emerse in maniera esplicita. La guerra in Ucraina è solo il primo passo per restituire alla Russia quel rango di grande potenza che dopo il crollo dell’Unione Sovietica aveva perduto e, conseguentemente, per ridimensionare l’egemonia occidentale fondata sull’asse euro-americano. Da qui l’alleanza con la Cina e l’ostilità manifesta nei confronti di tutti i paesi che hanno sviluppato sistemi politici e sociali ispirati ai principi liberal-democratici, considerati veicoli ideologici al servizio della potenza americana. Perché questo è il problema: non la Russia ma l’autocrazia plebiscitaria illiberale e nazionalista con cui l’autocrate di Mosca ha cercato di riempire il vuoto lasciato dal comunismo leninista.
- Qui sta il punto: tu (e chi la pensa come te) sei critico nei confronti della civiltà euro-americana, ne sottolinei continuamente le incongruenze e le contraddizioni che sono spesso innegabili, sostieni che la democrazia dei paesi occidentali è fittizia e non rappresentativa degli interessi popolari; ma poiché non posso immaginare che tu sia un sostenitore del regime di Putin (altrimenti non saresti mio amico), devo dedurne che sei un nostalgico di quella “terza via” tra capitalismo (ovviamente selvaggio) e dittatura in nome del proletariato che era tanto di moda tra gli intellettuali di sinistra (socialisti e cattolici) ai tempi della nostra gioventù. Capisco che in tale contesto psicologico un robusto ridimensionamento dell’egemonia americana non ti dispiacerebbe.
- Ma per sostituirla con che cosa? Soltanto all’interno di uno stato di diritto (che non significa uno stato dove sempre si rispettano i diritti ma soltanto che riconosce almeno in linea di principio i diritti individuali fondamentali) si può costruire una democrazia in grado di correggere i suoi difetti, a partire dalle distorsioni prodotte dai mercati globalizzati. Non credo che la Russia o la Cina abbiano in proposito qualcosa da insegnarci; se hai dei dubbi puoi chiedere informazioni ai ragazzi di Hong Kong o ai dissidenti arrestati a Mosca.
Cari saluti, Franco Chiarenza.