Foto: www.confedilizia.it

Molti anni fa, quando militavo e mi agitavo nella Gioventù Liberale degli anni ’50, mi telefonò un certo Sforza Fogliani da Piacenza dove dirigeva un giornale liberale, per invitarmi a tenere una conferenza; ne fui ovviamente lusingato, andai, mi trovai tra giovani motivati e molto attivi in una città dove non era facile fronteggiare le opposte egemonie politiche della sinistra comunista e della Democrazia Cristiana. Ne nacque un rapporto di reciproca stima anche se le nostre strade presero direzioni diverse sempre però riconoscendoci nella cultura liberal-democratica.
Corrado ha svolto nella sua esistenza molti ruoli prestigiosi ben oltre i limiti della sua città (dove è stato presidente della Banca di Piacenza e consigliere comunale) presiedendo tra l’altro per oltre vent’anni Confedilizia, l’associazione nazionale che tutela i diritti e gli interessi dei proprietari di case, convinto assertore della funzione sociale che svolge la proprietà edilizia (soprattutto nelle dimensioni familiari) per la costruzione di un ceto medio di massa.
Ma l’aspetto che più mi interessava della sua personalità, sin da quando lo conobbi, era il fatto che fosse cattolico osservante e non trovasse alcuna contraddizione tra questa dimensione religiosa e una dottrina politica come il liberalismo (di cui era anche un profondo conoscitore) che sulla laicità e sul rifiuto di verità dogmatiche fonda la sua identità. Non a caso il suo principale punto di riferimento era Luigi Einaudi, anch’egli, come è noto, liberale e cattolico.
Con lui scompare un altro grand commis tra i tanti che la cultura liberale ha messo a disposizione della malferma classe dirigente del nostro Paese come Guido Carli, Carlo Azeglio Ciampi e, da ultimo, Mario Draghi, Nel generale discredito che circonda in Italia la politica, gentiluomini corretti ed efficienti come Corrado Sforza Fogliani danno spazio alla speranza di una rigenerazione che, comunque la si definisca, non può che essere sostanzialmente liberale.

Franco Chiarenza
14/12/2022

Foto: Steve Rhodes – Flickr

C’è qualcosa in comune in ciò che sta avvenendo in parti del mondo diversissime tra loro: si nota un filo rosso che unisce soprattutto i giovani delle ultime generazioni e che riprende un’importante eredità del passato, quella della tutela dei diritti individuali. Le contestazioni che stanno agitando la Cina, l’Iran e quelle che hanno costretto gli autocrati di Mosca e della Turchia a imporre il bavaglio a ogni libera manifestazione del pensiero, sono esplose per ragioni diverse ma trovano il loro punto di sintesi nel rifiuto del paternalismo autoritario e una domanda ricorrente di restaurare lo stato di diritto dove viene platealmente negato. Sono le ragazze dei paesi islamici che rivendicano la libertà di esprimersi, i democratici turchi che si richiamano alla separazione tra stato e religione, i giovani russi che rifiutano il nazionalismo aggressivo di Putin, i nipoti di Tien An Men che cercano di liberarsi dalla gabbia oppressiva del regime capital-comunista. Non si tratta di una facile retorica liberale che ci fa sognare impossibili rovesciamenti di regimi in cui il potere è troppo consolidato per essere seriamente minacciato dall’emergere di sentimenti che non hanno ancora trovato un punto di convergenza tra loro; tuttavia si avverte un segnale chiaro di movimento delle coscienze che infatti i regimi autoritari non sottovalutano, come è dimostrato dalla violenza della loro reazione.

Un nuovo quarantotto?
Il ’48 (non il 1948 ma quello di un secolo prima, 1848) fu un movimento sotterraneo che esplose dopo un lungo processo di erosione che originava dall’onda lunga della rivoluzione francese e che l’autoritarismo clericale dell’epoca cercò invano di delegittimare e reprimere. Fu alimentato soprattutto da giovani, trovò nelle università il luogo dove organizzarsi, si sviluppò prevalentemente nelle grandi città metropolitane, attraversò trasversalmente nazioni tra loro diversissime come la Francia, gli stati tedeschi, l’impero asburgico, il Piemonte, la Toscana, il loro punto di riferimento fu la Gran Bretagna dove da due secoli si era affermato uno stato di diritto. Stanno creandosi le condizioni per qualcosa di simile? E’ una domanda e, al tempo stesso, una speranza.
Naturalmente le condizioni sono molto diverse: oggi le preoccupazioni maggiori sono legate alla questione ambientale, la rete interattiva consente un’estensione della comunicazione non paragonabile a quella che la stampa garantiva in passato. Radio e televisione sono facilmente controllabili dal potere ma trovano ascolto soprattutto nelle generazioni di mezzo mentre i più giovani comunicano prevalentemente attraverso i social-network. Ed è questa la ragione per cui la domanda di libertà si identifica oggi in maniera specifica con la libertà di espressione.
Le emergenze globali che mettono in discussione gli equilibri esistenti sono riconosciute da tutti ma proprio perchè alterano le condizioni esistenziali ereditate dal passato possono essere affrontate in due modi: cercando di contrastare i cambiamenti e quindi sostenendo regimi autoritari in grado di reprimere il dissenso anche a costo di rinunciare ai propri diritti individuali, oppure dando credito ai sistemi politici e sociali liberal-democratici confidando nella loro capacità di governare gli inevitabili processi di trasformazione con la necessaria flessibilità.
Immaginare il futuro è sempre difficile e quasi sempre non ci si azzecca; ma quello che io – da liberale qualunque avverto e che fa ben sperare – è la crescita di una domanda giovanile di autonomia e di rifiuto di ogni paternalismo. Che questo movimento abbia radici nel passato e che si identifichi col liberalismo però non va detto perchè i giovani sono da sempre presuntuosi e pensano che la storia dell’umanità cominci con loro (e hanno torto) e sono allergici ad ogni ideologia totalizzante che finisce per “ismo”, come socialismo, comunismo, cristianesimo, islamismo, nazionalismo, atlantismo, europeismo, ecc. (e forse hanno ragione).

Lo scambio: libertà contro sicurezza
L’offerta di maggior sicurezza in cambio della rinuncia ad alcuni diritti individuali è sempre stata l’arma che ha consentito ai regimi autoritari di affermarsi. Oggi, a fronte di cambiamenti radicali che sconcertano anche per la loro imprevedibilità, si sostiene che per contenere il prevalere di sentimenti incontrollabili e consentire un’unità di comando più adatta ad affrontare le emergenze, i sistemi democratici pluralisti non siano in grado di fronteggiare in maniera efficace le difficoltà che si presentano. Ma si tratta di una convinzione sbagliata e pericolosa. Mai come oggi – con la diffusione di mezzi di comunicazione incontenibili – serve un bilanciamento tra i poteri dello Stato che consenta decisioni equilibrate in un sistema politico che permetta il confronto delle opinioni.
L’alternativa è un dispotismo necessariamente violento che cerca soltanto il mantenimento del potere e dei privilegi che ad esso vengono attribuiti senza alcun controllo della pubblica opinione.
Le democrazie liberali hanno molti difetti ma sono in grado di rigenerarsi, le autocrazie illiberali producono Putin, Xi Jinpeng, Erdogan, Al Sisi, ecc. La destra italiana, giunta al potere senza condizionamenti, è davanti a un bivio: o rappresentare il polo conservatore di una dialettica democratica nel quadro di comuni valori liberali, o seguire Orban e il gruppo di Visegrad sulla strada scivolosa della negazione dei diritti individuali. A parole con il discorso alla Camera di Giorgia Meloni la scelta è stata fatta; ora si tratta di tradurla in comportamenti coerenti. Non si può stare con il piede in due staffe: sulle convergenze ideologiche con movimenti che spingono verso un esercizio autoritario del potere (come Vox in Spagna, alcuni partiti populisti nei Balcani, l’estrema destra in Francia, ecc.) nell’azione di governo con le democrazie liberali. Occorre chiarezza.

Franco Chiarenza
06/12/2022