Auguri di buon lavoro al secondo Governo Conte

Il secondo Governo presieduto da Giuseppe Conte ha ottenuto la fiducia tanto da parte della Camera dei deputati, quanto dal Senato della Repubblica. Alla Camera i SI sono stati 343, ottanta voti in più rispetto ai NO; al Senato i SI sono stati 169, trentasei voti in più rispetto ai NO.
Il Governo, pertanto, è pienamente legittimato, sul piano costituzionale. Indipendentemente dalle scomposte reazioni manifestate dalla Lega e da Fratelli d’Italia. É veramente mortificante che molti parlamentari delle due destre non sappiano distinguere le Aule parlamentari da uno stadio di calcio. Che non riescano ad ascoltare l’intervento del Presidente del Consiglio, o di altri oratori che dicono cose a loro non gradite, senza continuamente interromperli con urla ritmate, come appunto avviene in uno stadio di calcio. Ma, anche negli stadî, i tifosi che si comportano così sono molesti. Chi urla ossessivamente la parola “dignità”, ma poi dimostra con i propri concreti comportamenti di non avere alcun rispetto per la dignità degli interlocutori, né alcun rispetto per la dignità delle Istituzioni, si rivela per quel che è: un portatore del più volgare e becero spirito antidemocratico.
Si possono esprimere contenuti radicali, radicalissimi, manifestare la volontà della più ferma opposizione, senza che sia necessario, nel contempo, gridare, insultare gli avversari, minacciare che, se gli altri continueranno ad ignorare le proprie tesi, si è pronti a commettere non si sa bene quale sproposito, o quale sfracello. La pace civile è il massimo bene. Affinché perduri bisogna, però, che tutti si preoccupino seriamente di salvaguardare tale valore. Nessuno pensi di poter imporre una linea politica con la violenza. Nessuno pensi di poter contrapporre le piazze al Parlamento. Potrebbe scoprire che, dall’altra parte, non ci sono soltanto miti pecorelle disposte a farsi guidare docilmente, ma persone molto determinate, pronte a lottare per difendere le proprie convinzioni ed i propri valori. Ed allora sarebbe tropo tardi. Resistenza contro il nazi-fascismo. Costituzione democratica repubblicana. Ordinamento rappresentativo improntato ai valori della liberal-democrazia. L’Italia che si è ricostituita dopo la seconda guerra mondiale porta in sé questi tre momenti fondamentali, che contraddistinguono la propria storia. Chi vuole alterare questa fisionomia storico-ideale sappia che non potrà farlo gratis.
Una volta sgombrato il campo da questa premessa, pur necessaria, veniamo a considerazioni più serie ed utili, da rivolgere alle persone ragionevoli.
Quanto all’analisi dei comportamenti delle forze politiche, risultanti dal dibattito parlamentare sulla fiducia, vengono in considerazione le scelte dissonanti di Carlo Calenda (parlamentare europeo) e di Matteo Richetti nel Partito Democratico. Emerge anche la frattura di Più Europa. Dei quattro parlamentari di cui questa formazione dispone, i tre deputati Alessandro Fusacchia, Riccardo Magi e Bruno Tabacci hanno votato SI alla fiducia; invece la senatrice Emma Bonino ha votato NO, in ciò d’accordo con il Segretario politico di Più Europa, Benedetto Della Vedova. Quando si ascoltino i discorsi di Calenda, Richetti, Bonino, sembra che non facciano una grinza sul piano strettamente logico: l’intesa fra il Movimento Cinque Stelle ed il Partito Democratico è stata troppo affrettata e permangono troppi margini di ambiguità perché si possa dare credito al fatto che queste due forze politiche riusciranno a lavorare seriamente insieme, superando un recente passato che le ha viste nettamente contrapposte.
É vero che l’intesa è stata affrettata; ma i tempi stretti sono stati, giustamente, imposti dal Presidente della Repubblica, il quale si preoccupava di mettere al riparo il nostro Paese da una possibile tempesta speculativa nei mercati finanziari, e poneva l’accento sulle procedure per la formazione della legge di bilancio dello Stato, procedure che richiedono scadenze serrate. Cos’è la politica se non la capacità di trovare risposte immediate a problemi gravi, urgenti ed indifferibili? Quando ci sono reali difficoltà e reali urgenze, serve a poco compiacersi della propria coerenza: al diavolo la coerenza e si adottino le misure che servono, nell’interesse superiore dell’Italia, cioè di tutti gli italiani, per evitare guai e danni, altrimenti inevitabili. Bene hanno fatto, dunque, il Movimento Cinque Stelle, il Partito Democratico e Liberi ed Uguali ad adottare una linea di responsabilità, a servizio del Paese. Linea difficile e politicamente rischiosa, certo; ma, nelle circostanze date, inevitabile. Sia dato loro merito.
Si trattava, inoltre, di ripristinare l’armonia fra l’Italia e le Istituzioni dell’Unione Europea. Il nuovo Governo Conte ha immediatamente designato Paolo Gentiloni quale membro italiano della Commissione Europea. Gentiloni sarà commissario per gli “Affari economici e monetari”. La persona è abile ed ha statura internazionale; ottima scelta. Ora alcuni storcono il naso perché, nella medesima Commissione Europea, il lettone Valdis Dombrovskis sarà Vicepresidente esecutivo per l’Economia. Probabilmente, meglio così. In questo modo Gentiloni, che è stato espresso da uno Stato Membro quale l’Italia, che ha oggi serissimi problemi nei conti pubblici, a partire dall’entità del debito pubblico italiano, sarà meno esposto e potrà lavorare più tranquillamente. Anche alla Commissione Europea, guidata dalla tedesca Ursula von der Layen, formuliamo i più sinceri auguri di un proficuo lavoro, nell’interesse di un rilancio delle Istituzioni Europee.
Per tornare a Carlo Calenda, si tratta certo di una persona intelligente, brillante e competente. Purtroppo, gli fa difetto proprio l’intelligenza politica. É rigido e dogmatico. Spesso mi sorprendo malinconicamente a pensare al curioso destino che fa sì che in Italia, proprio fra quanti si professano “liberaldemocratici”, l’intelligenza politica sovente faccia difetto. Altrettanta rigidità ho riscontrato in Emma Bonino e Benedetto Della Vedova. Peccato per Più Europa, la cui vicenda rischia di chiudersi qui. Ho, invece, molto apprezzato l’intervento del senatore a vita Mario Monti. Il quale non ha risparmiato le sue critiche ed i suoi moniti al nascente Esecutivo, ma poi, con senso di responsabilità, ha votato SI alla fiducia.
Oltre all’avvio degli adempimenti necessari per la definizione della legge di bilancio, che sarà al centro dell’attività del nuovo Governo Conte, una delle prossime scadenze temporali importanti sarà l’approvazione, in quarta lettura, alla Camera dei deputati, della legge costituzionale che prevede la riduzione del numero dei parlamentari. Al riguardo, anche organi di informazione che dovrebbero essere autorevoli, continuano a riportare cose inesatte.
Mi voglio limitare a ricordare le disposizioni di due articoli della Costituzione. Ai sensi dell’articolo 138, secondo comma, Cost., una legge costituzionale non entra immediatamente in vigore dopo essere stata approvata.
Viene pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, per fini meramente conoscitivi. A partire dalla pubblicazione decorrono tre mesi, entro i quali si può chiedere che la legge sia sottoposta a Referendum per essere valutata, e confermata, o meno, dall’intero Corpo elettorale. Com’è noto, possono chiedere il Referendum: a) un quinto dei membri di una delle due Camere; b) cinquecentomila elettori; c) cinque Consigli regionali. Di conseguenza, la legge costituzionale entra in vigore: se, dopo tre mesi, non è stato chiesto un Referendum nelle forme e modalità prescritte; oppure quando, dopo lo svolgimento del Referendum, risulti approvata dalla maggioranza dei voti validi. Nel Referendum costituzionale confermativo non c’è quorum di validità; prevale, dunque, la maggioranza relativa dei votanti.
Tutto ciò premesso, nei tre mesi che intercorrono fra la pubblicazione ed il Referendum, le forze politiche hanno il tempo di preparare una legge elettorale conseguente alla riforma costituzionale; così come possono individuare le opportune modifiche dei Regolamenti parlamentari.
L’altra disposizione della Costituzione da richiamare è l’articolo 83, secondo comma, Cost.; questo stabilisce il numero dei cosiddetti “grandi elettori” delle Regioni nell’elezione del Presidente della Repubblica. Si tratta di 58 grandi elettori: tre delegati per ogni Regione, scelti in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze, mentre la Valle d’Aosta ha un solo delegato.
É evidente che, dopo l’approvazione della riforma costituzionale, il peso di questi 58 elettori regionali sarebbe accresciuto: infatti, mentre finora si sono aggiunti al numero di 945 elettori, fra deputati e senatori, dopo la riforma il numero dei rappresentanti del Parlamento scenderebbe a 600. Tale questione, tuttavia, è stata già valutata da chi ha proposto la riforma costituzionale ora in discussione. Si è ritenuto che il rapporto tra i 58 ed i 600 sia comunque accettabile, anche se un po’ più favorevole alle Regioni; tale, comunque, da garantire piena legittimazione al Presidente della Repubblica che sarà eletto da questo Collegio.
Tutti i discorsi di “necessario riequilibrio” delle rappresentanze regionali sono tanto pretestuosi, quanto fumosi. Mezzucci ai quali ricorre chi è contrario alla riforma costituzionale.
Ultimo punto. É, ovviamente, possibile avviare nuove riforme costituzionali, per superare il Bicameralismo paritario, per stabilire in Costituzione il principio della tutela dell’ambiente, e per le mille altre cose di cui in questi giorni si discute. Le nuove riforme costituzionali proposte inizieranno, ciascuna, il proprio iter e avranno la sorte che deriverà dalla razionalità del loro impianto, tale da essere condivisa, o meno, dalle prescritte maggioranze parlamentari. Intanto, però, si approvi definitivamente la riforma costituzionale in discussione. Senza bloccare questa, aspettando quelle.

 

Livio Ghersi
11 settembre 2019

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