Una carrellata di 650 pagine e 350 anni; dai tempi del cardinal Richelieu, definito come padre della moderna idea di stato, a quasi il 2000. Una storia che diventa rapidamente cronaca dei nostri tempi.
Un libro più da studiare che semplicemente da leggere, ricco di considerazioni, analisi e riflessioni e dove sono evidenti le continuità e preoccupazioni dei singoli stati ognuno condizionato in modo inestricabile dalla propria storia, dalla propria geografia e dalla propria “cultura” di fondo che ne hanno forgiato caratteri e comportamenti che si ripetono nei tempi. Sembra quasi che ogni stato sia una persona le cui azioni nel tempo siano quasi prevedibili o comunque non sorprendenti. È interessante quanta importanza viene data alle situazioni e alla potenza oggettiva dei singoli stati che in termini di economia, popolazione e territorio ne condizionano i comportamenti quasi fossero spinti da leggi fisiche.
La politica estera dell’Inghilterra, condizionata dalla preoccupazione di un’Europa dominata da un solo paese nel qual caso essa sarebbe stata una semplice appendice di un impero continentale, è stata di conseguenza quella di uno “splendido isolamento” dal quale uscire solo per mantenere in Europa – Russia compresa – un costante equilibrio intervenendo a sostegno del più debole ogni qualvolta questo equilibrio veniva rotto.
La politica della Francia condizionata invece dalla preoccupazione di una possibile formazione di una potenza ad est del suo territorio e quindi interessata a che nel centro dell’Europa ci fosse una vuoto di potere dove poter anche spostare i suoi confini orientali. Qui, a proposito della Francia, Kissinger riserva non poco spazio e ammirazione per il cardinal Richelieu, “inventore” della “ragion di stato”- poi chiamata “realpolitik” – che, pur di evitare la supremazia in Europa della casa d’Asburgo che con i suoi possedimenti avrebbe circondato la Francia, non esitò, contro la cattolica Austria, ad allearsi con gli stati protestanti e con l’impero ottomano tanto che, come viene riportato, Urbano VIII dirà alla sua morte “se Dio esiste, il cardinal Richelieu dovrà rispondere di molte cose”. Si sottolinea come proprio con Richelieu e poi con la guerra dei trent’anni e il trattato di Westfalia si superò la visione di un mondo che tra papato e impero si rifaceva a principi etici e religiosi per passare a un mondo dominato dalla cinica ragion di stato che giustifica qualunque mezzo sia necessario al fine dell’interesse del proprio paese e per la quale gli stati non debbono fare ciò che è giusto ma ciò che è necessario portando nell’insieme a un equilibrio generale. Fu con la guerra dei trent’anni che a oggettivo beneficio della Francia, nel centro dell’Europa, con i territori germanici che avevano perso un terzo della popolazione, si creò un vuoto di potere costituito da oltre trecento piccoli stati che agivano ognuno con una propria politica estera.
Fu poi Bismark a riempire quel vuoto al centro dell’Europa unificando la Germania nella seconda metà dell’ottocento e facendo in un certo senso rimpiangere, di fronte alle tragedie delle due guerre mondiali, il tempo dei trecento stati indipendenti, deboli e necessariamente innocui. E qui viene alla mente la frase di Andreotti che evidentemente memore della storia, quando Kohl riunificò la Germania Federale con quella dell’est disse “amo talmente tanto la Germania che ne preferivo due”. Con ciò non volendo addossare le cause delle due guerre alla sola Germania. Bismark riunificò la Germania essenzialmente come ampliamento della Prussia seguendo tra l’altro una politica estera di accordi, alleanze e trattati di assicurazioni e controssicurazioni talmente complicati che un suo successore lo paragonò a un prestigiatore. Alleanze e trattati che, a differenza della strategia inglese, tendevano a mantenere l’equilibrio prevenendo invece che intervenendo successivamente alla sua rottura.
Insieme con Bismark si parla ampiamente di Napoleone III, presentato come persona alquanto pasticciona e che “rese possibile l’unificazione dell’Italia e della Germania che indebolirono geopoliticamente il suo paese e minarono la base storica della prevalente influenza francese in Europa centrale”. Trattando di Bismark e Napoleone III – che si detestavano l’un l’altro – si parla del come e delle diverse ragioni per cui entrambi contribuirono a distruggere il sistema realizzato da Metternich con gli accordi di Vienna
Si parla della politica estera della Russia, paese bifronte, europeo e insieme asiatico, caratterizzata dalla costante ricerca della sicurezza dei propri confini, cercata essenzialmente nella loro continua espansione sia ad est che ad ovest con ampliamento del proprio territorio e il sorgere dei problemi che conseguono all’inglobamento di popoli ed etnie diverse. Una Russia che ha sempre sentito la “missione” della protezione dei popoli slavi con particolare tendenza a inserirsi nei Balcani e a spingersi verso il Mediterraneo attraverso i Dardanelli.
L’immagine che si fa degli Stati Uniti è di un misto e contraddizione di idealismo missionario, manicheismo, latente tendenza all’isolazionismo e al rifiuto del compromesso e del metodo dell’equilibrio delle forze che per secoli sono stati la regola della diplomazia europea. Intervenendo contemporaneamente e quasi ovunque nel mondo dopo la seconda guerra mondiale persegue una politica di “contenimento” del mondo comunista ad evitarne l’espansione e con la “missione” di esportare la democrazia ovunque, anche in paesi dove l’assenza di qualsiasi precedente traccia ne rendeva impossibile “l’importazione”.
L’immagine della Cina è invece quella di un grande paese di trimillenaria civiltà, in fase di forte crescita ma sempre diffidente e reattivo ai tentativi di essere influenzato da parte dell’occidente memore delle umiliazioni delle guerre dell’oppio subite a suo tempo da parte dei paesi occidentali.
A partire dagli albori dell’Europa moderna visti col trattato di Westfalia il libro, necessariamente un po’ “americanocentrico”, si dipana fino a quasi i nostri giorni con minuziosa descrizione della politica estera, dei suoi personaggi e dell’azione delle diplomazia. Si passa per la maldestra crisi di Suez che certificò con l’intervento dell’America la fine delle potenze Inglese e francese, per la guerra di Corea, la tragedia del Vietnam, la lunga guerra fredda, la politica di contenimento del mondo comunista, l’equilibrio dovuto alla paura delle armi nucleari, la crisi di Berlino, le rivolte nei paesi europei satelliti della Russa, il disfacimento dell’impero sovietico e la fine della guerra fredda.
Noi europei, e forse in particolare l’Italia dovremmo renderci conto che se viviamo in pace ormai da 76 anni non è un caso o un miracolo ma il risultato di equilibri di forze e di una diplomazia continua che senza la presenza di queste forze sarebbe stata del tutto inane. Dovremmo renderci conto che queste forze che hanno permesso alla diplomazia di fare il suo lavoro erano forze essenzialmente – o quasi solo – americane. Ora che l’America non è più come un tempo quasi la padrona del mondo, che altre potenze grandi e medie sono sorte anche ai nostri confini europei, che le spinte geopolitiche, a prescindere dai presidenti che ha e avrà, stanno facendo rivolgere l’America (anche) altrove distogliendo la sua attenzione dall’Europa, dovremmo con una certa urgenza capire che non è più tempo di essere imbelli e vivere in una sicurezza garantita da una copertura americana che non durerà per sempre e forse nemmeno per molto.
Pacifici sì ma anche armati. Non denti per azzannare ma muscoli per essere forti e sostenere una diplomazia atta a mantenere ordine e pace: non sembra che ai confini dell’Europa e nel Mediterraneo di pace se ne prospetti molta. E i confini non sono impermeabili.
L’arte della diplomazia di Henry Kissinger – Sperling Paperback – pagine 698 – € 19
Guido Di Massimo
17 agosto 2021