Da mediatore a pilota. Il Conte bis

Il secondo governo Conte è nato. Non era questo certamente l’obiettivo di Salvini quando ha scatenato la crisi di Ferragosto. Resta ancora da capire perchè lo abbia fatto; non era difficile prevedere come possibile l’esito che poi si è realizzato. Ma in politica spesso è complicato comprendere le vere ragioni di certe scelte perchè ci sono cose che si sanno e altre che si tengono più nascoste. Certamente però il capo della Lega ha sopravalutato Di Maio ritenendo che potesse svolgere nel suo movimento un ruolo di leadership analogo al suo, mentre una migliore conoscenza della galassia pentastellata avrebbe dovuto indurlo quanto meno alla prudenza; è vero infatti che Grillo si era messo “in sonno” (come si usa dire nella massoneria per gli adepti non attivi) ma restava sempre il possessore delle chiavi (insieme a Casaleggio) pronto ad esercitare le funzioni di padrone di casa. E lo ha fatto senza esitazioni mettendo nell’angolo Di Maio e costringendolo a un’alleanza con il partito democratico che certamente l’uomo di Pomigliano avrebbe preferito evitare. Sottovalutare gli altri competitors è un errore grave per un uomo politico che pretende di governare un paese; soprattutto se si compie due volte di seguito. Anche nel caso dell’Europa infatti ho l’impressione che Salvini abbia sottovalutato la capacità di tenuta dell’establishment europeo e americano (Russiagate) che egli ha sfidato apertamente mettendosi nelle condizioni di non potere gestire i difficili appuntamenti di fine d’anno.

Tutto ciò premesso vediamo dunque (per punti essenziali) il nuovo governo per come io lo vedo.

a) – governo debole

Il nuovo governo appare minato da forti contraddizioni interne, esposto al fuoco di un’opposizione che non gli lascerà tregua, con i Cinque Stelle richiamati continuamente all’esperienza del Conte 1, obbligato a una manovra di bilancio che – anche con una Commissione “amica” – comporterà comunque sacrifici difficilmente mimetizzabili. A ciò si aggiunge una “debolezza politica” costituita dalla risicata maggioranza di cui esso dispone al Senato. Ragioni tutte che inducono a ritenere possibili elezioni anticipate nel 2020, una volta superati i motivi di emergenza che ne hanno giustificato la nascita.

b) – governo equilibrato

Nella sua composizione il governo si presenta abbastanza equilibrato. Di Maio è stato retrocesso agli Esteri, un ministero sempre meno importante da quando le scelte e le presenze internazionali che contano vengono garantite dal presidente del Consiglio (e non soltanto in Italia), come è avvenuto a partire dal governo Monti (e poi con Letta, Renzi, Gentiloni e lo stesso Conte). Franceschini ha preferito spendere la sua esperienza tornando ai Beni Culturali (che invece è un dicastero sempre più importante). Preoccupa un liberale come me l’assegnazione dell’Economia a un personaggio come Gualtieri, certamente competente e serio ma ex-comunista e convinto assertore di un’economia dirigistica; anche se la sua intensa frequentazione delle istituzioni europee e il pragmatismo che ne è derivato gli hanno valso l’endorsement della Lagarde (BCE). Allo Sviluppo Economico (altro ministero-chiave) Di Maio è riuscito a imporre Patuanelli, capogruppo al Senato, probabilmente poco gradito a chi avrebbe preferito una scelta di discontinuità rispetto al passato (anche se proviene da Trieste). Le Infrastrutture, infelicemente governate dal fin troppo noto Toninelli nel precedente governo, sono state assegnate a Paola De Micheli (PD) che sembra avere le carte in regola per dirigere questo importante ministero. Il resto è costituito da conferme (talvolta discutibili come quella di Bonafede alla Giustizia) o da new entries che poco contano ai fini dell’azione complessiva di governo che sarà fortemente condizionata dalla scarsità di risorse disponibili. Un vincolo che purtroppo condizionerà anche il nuovo titolare della Pubblica Istruzione Fieramonti. L’assegnazione del ministero dell’Interno a una funzionaria rigida e competente, estranea ad appartenenze politiche come Luciana Lamorgese è stata una scelta saggia in grado di ammortizzare i prevedibili conflitti che su temi come immigrazione e sicurezza non mancheranno di manifestarsi nella nuova maggioranza.
Infine, importantissima perchè va ben oltre la durata di un governo nazionale, la designazione di Gentiloni nella futura Commissione dell’Unione Europea: una vittoria per il PD che si assicura, dopo l’elezione di Sassoli alla presidenza del parlamento di Strasburgo, una solida presenza nelle istituzioni comunitarie.

c) – programma di governo

Un elenco di 26 propositi e buone intenzioni in cui si auspica tutto e il suo contrario non è un programma di governo. Un serio programma politico indica le priorità (che non possono essere 26) e le risorse per farvi fronte. Quelle indicate al primo punto del programma della nuova maggioranza sono talmente numerose, onnicomprensive e intrinsecamente contraddittorie da essere difficilmente considerate tali. Speriamo che qualcosa di più concreto emerga dal discorso di Conte alla Camera. Ciò non toglie tuttavia che alcuni punti del programma, anche se si tratta di mere enunciazioni, possano preoccupare un liberale come me. I punti 4 e 7 per esempio, pur nella loro confusione dettata da esigenze di “identità politica” e di ricerca del consenso elettorale, prefigurano una concezione dirigistica e punitiva per le imprese di cui certamente il nostro sistema produttivo, già imbrigliato da svantaggi burocratici, fiscali ed energetici che ne minano la competitività, non sentiva la necessità. L’idea, prefigurata nel punto 14, di “promuovere” il pluralismo nell’informazione sembra un ritorno alle sovvenzioni pubbliche che, alla mercè di variabili maggioranze parlamentari, costituiscono una minaccia grave alla libertà di informazione. Per il resto si tratta di un lungo elenco di buone intenzioni (c’è perfino il contrasto al maltrattamento degli animali) di difficile realizzazione, enunciate in maniera ambigua, complessivamente costose oltre ogni limite di compatibilità con un’economia di mercato e con la stabilità finanziaria. Ma naturalmente tutti lo sanno, anche quelli che hanno perso giornate intere a compilarlo; dejà vu. Il programma dell’Ulivo di Romano Prodi di vent’anni fa (300 pagine, se non ricordo male) non ha insegnato nulla?

d) – Quale futuro

Quali siano le cose da fare con assoluta priorità, al di là degli elenchi programmatici, lo sappiamo tutti: 1) ricreare le condizioni di competitività delle imprese attraverso la diminuzione del cuneo fiscale, unico modo per riassorbire la disoccupazione. 2) introdurre meccanismi fiscali di controlli incrociati (oggi facilitati dalle nuove tecnologie) unico modo per ridurre davvero in maniera sensibile l’evasione fiscale. 3) rivedere le politiche sulla sicurezza eliminando alcune asprezze ma mantenendo alcune misure del precedente governo che andavano incontro a una percezione (vera o no poco importa) diffusa soprattutto nelle realtà sociali più disagiate, e in tale contesto promuovere una nuova politica di integrazione basata sull’inserimento territoriale e non su inutili e discutibili battaglie di bandiera come quella della concessione automatica della cittadinanza a chi nasce (anche casualmente) in Italia. 4) affrontare in maniera decisa il problema dell’emersione dell’economia sommersa, strettamente collegato con la questione meridionale, anche attraverso politiche fiscali e contrattuali differenziate. 5) puntare tutte le risorse disponibili sulla riqualificazione della scuola restituendole, almeno ai livelli superiori, quella funzione di selezione meritocratica (per studenti e docenti) indispensabile per assicurare un corretto funzionamento dell’”ascensore sociale”.

Per fare queste cose un governo come il Conte bis non sembra il più adatto per ragioni strutturali e negli obiettivi che sembra volere conseguire. Intendo dire che per realizzare una strategia di lungo respiro occorre un governo di legislatura, fondato su una maggioranza concorde almeno sulle questioni fondamentali, diretto da una personalità seria, affidabile, accreditata a livello internazionale, possibilmente non troppo narcisista (un identikit tutto da scoprire).
Ma non basta. Il nuovo governo, al di là della sua precarietà strutturale, non sembra orientato su queste priorità liberali; al contrario, dalla lettura del suo confuso programma molti hanno tratto la convinzione che si tratti di una vera e propria “svolta a sinistra”. Se così fosse e se il governo si comportasse di conseguenza, si darebbe spazio a una destra moderata in grado di assorbire il consenso di chi non condivide la demagogia della redistribuzione sociale di risorse che non ci sono, associata a un ambientalismo dirigista tendenzialmente fondamentalista.

Staremo a vedere.

 

Franco Chiarenza
6 settembre 2019

 

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