E Renzi se n’è andato. Dal PD

Era un “corpo estraneo”, mi dicevano sempre gli amici del PD. Ma era vero fino a un certo punto: non proveniva dalla tradizionale “ditta” dell’ex-PCI ma faceva parte a pieno titolo di quella componente cattolica che era stata dominante nel nuovo partito disegnato da Veltroni. Da un certo momento in poi (con la prima “Leopolda”) si era convinto che per restare in Europa l’Italia dovesse fare un passo decisivo per superare la tradizione dirigista e tendenzialmente egualitaria della sinistra e adottare una politica più “liberal” (nell’accezione anglosassone del termine). Era un progetto intelligente di modernizzazione del Paese (già delineato da Veltroni nel famoso discorso del Lingotto nel 2007) che aveva sedotto molti liberali e trovato ampi consensi nel mondo delle piccole e medie imprese, e che lo ha portato fino al grande successo elettorale delle europee del 2014. Poi il crollo dovuto a molte ragioni, tutte ampiamente rilevate e discusse dalla pubblicistica politica: eccesso di autoreferenzialità, tentativo di modificare la Costituzione condotto male e affidato all’incompetenza della Boschi, riforme anche incisive ma varate contemporaneamente creando una coalizione di interessi contro il suo governo, pessima strategia di comunicazione, atteggiamenti scostanti. Un disastro.
Da allora Renzi invece di attendere pazientemente costruendosi una nuova immagine e rilanciando il progetto – sempre valido – di Veltroni, ha dato di sé l’immagine di un bambino scontroso e incompreso, dispettoso e pronto a vendicarsi. Un altro disastro.
Infine, dopo avere minacciato una scissione dopo le elezioni del 2018 se il PD avesse accettato di costituire un governo con Grillo, ha cambiato idea l’anno successivo entrando a gamba tesa nel varco che si era creato con la frattura tra Di Maio e Salvini, costringendo Zingaretti a un difficile accordo mal digerito da entrambe le basi (e ottenuto soltanto per l’impuntatura di Grillo).
E adesso che fa? Nel momento meno opportuno, due giorni dopo il giuramento dei nuovi ministri, precipita i tempi di una scissione che era nell’aria già da tempo. Precisando però che la sua adesione alla nuova maggioranza di governo resta intatta. Una frittata.
“Italia viva” si chiamerà la nuova formazione; ricorda un po’ “Italia dei valori” di Di Pietro, speriamo che non faccia la stessa fine, Povera Italia sempre evocata con Forza (FI) circondata da Fratelli (FdI), presente in tutte le sigle, assente nelle azioni concrete di governo.

Perchè?
Tutti se lo domandano e tutti danno risposte diverse. Quella di Renzi è di voler fare chiarezza, ma non è una risposta sui tempi e sui modi. E nemmeno sulle diversità che dividono in maniera così drastica i renziani dai democratici. E allora?
A mio avviso le ragioni principali sono due: la prima è quella di indebolire Zingaretti proponendosi come mediatore indispensabile nella nuova maggioranza. Ma potrebbe rivelarsi un calcolo sbagliato se nella nuova mobilità parlamentare (che investe anche la destra con i malumori di Forza Italia) i voti di Renzi non dovessero più essere determinanti.
La seconda ragione si chiama Calenda. Uscendo dal PD su una chiara posizione contraria all’alleanza con i Cinque Stelle Calenda pone seriamente le premesse per una formazione di centro che taglierebbe l’erba sotto i piedi di Renzi. Ma se si continua di questo passo, con l’ennesimo suicidio del centro-sinistra, finirà che si andrà al voto anticipato nelle peggiori condizioni.
Salvini ringrazia. Non è il solo a fare gli autogol.

Franco Chiarenza
18 settembre 2019

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