I tormenti di Renzi

Renzi ha faticosamente conquistato il controllo quasi assoluto del partito democratico ma si trova in mano una macchina che non sa bene come guidare e verso quali obiettivi indirizzare; né serve a dare qualche indicazione in proposito il suo libro che si presenta più come una resa dei conti rancorosa ed egocentrica piuttosto che un serio progetto per la nazione come ci si sarebbe aspettati.
Dispiace dirlo ma Renzi continua a deludere e mostrare purtroppo una mediocrità forse congenita ad alcuni tratti negativi della sua personalità e quindi difficilmente correggibile; lo dico con angoscia perché il fallimento di Renzi è una sciagura per il Paese, un’occasione perduta che non cesso di rimpiangere.

I modelli circostanti
La vittoria di Macron in Francia, anche per le dimensioni che l’ha caratterizzata, lo ha disorientato; convinto che il vento anti-europeo fosse irresistibile si trova davanti a una reazione orgogliosa che attraversa il Vecchio Continente e che si esprime attraverso le difficoltà della Brexit, le elezioni olandesi e francesi, il riposizionamento dell’Austria, l’attesa di una probabile vittoria della Merkel in Germania che rimetterebbe in moto il processo di integrazione europea.
Il successo, anche in termini di consenso mediatico e diplomatico, del governo del suo successore a palazzo Chigi, ha rappresentato un altro elemento di sorpresa; Gentiloni dimostra che si può fare molto senza eccitazioni esibizionistiche, senza roboanti annunci in dimensioni twitter, senza atteggiamenti “mussoliniani” (certamente inconsapevoli ma purtroppo frequenti) del genere “noi contro tutti, li ridurremo a pezzi, dovranno venire a patti”, tanto più ridicoli provenendo da un partito lacerato che stenta a governare un paese in gravissime difficoltà.
L’arresto (anche se non ancora il ridimensionamento) del successo dei Cinque Stelle, certamente non per merito del PD ma piuttosto per demerito di alcuni improvvisati governanti che Grillo ha portato ad amministrare importanti città, dimostra che un movimento senza una chiara strategia alternativa sulle grandi scelte che attendono il Paese (integrazione europea, fisco, giustizia, investimenti infrastrutturali, scuola e università, riduzione dei “lacci e lacciuoli” che strangolano l’economia, autonomia degli enti locali, riforme istituzionali) non riesce a trasformare un consenso basato sul discredito della classe politica in proposta di governo.
La possibilità di un Macron italiano è improbabile. Ma le incertezze di Renzi potrebbero aprire al centro dello schieramento politico uno spazio (equivalente almeno a quello che coprì Monti con la sua sciagurata decisione di partecipare alla gara elettorale) sufficiente a determinare le future alleanze di governo, soprattutto se si voterà con un sistema sostanzialmente proporzionale. Uno spazio che sarebbe in gran parte ottenuto a spese del PD.

Le alleanze
Il problema delle alleanze, infine, viene gestito in maniera approssimativa e personalistica. Vale come esempio la ricostruzione che Renzi fa nel suo libro sulla fine del “patto del Nazareno”. Racconta infatti Renzi che la scelta di Mattarella per la successione di Napolitano al Quirinale fu una reazione rabbiosa al fatto che Berlusconi e D’Alema avessero trovato un accordo sul nome di Amato. Uno statista non misura i fatti in relazione a problemi di suscettibilità ma valutandoli per quel che rappresentano in rapporto alla strategia che si vuole attuare; la scelta di Amato, per varie ragioni (competenza giuridica, esperienza di governo, capacità di mediazione, formazione politica laica e socialista), sarebbe stata più compatibile con il progetto di riforma istituzionale che lo stesso Renzi aveva immaginato (vedi il programma della Leopolda) e che rappresentava l’obiettivo del patto tra maggioranza e opposizione. Non è da escludere inoltre che avrebbe facilitato e migliorato il testo della nuova Costituzione.
Oggi il problema si ripropone perché – a numeri invariati – nessuno avrà la maggioranza per governare con l’attuale legge elettorale. Bisognerà quindi nuovamente fare i conti con l’oppositore più disponibile che – per molte ragioni – continua ad essere Berlusconi. Tutti l’hanno capito, sarebbe meglio esporsi proponendo un patto di unità nazionale con pochi ma chiari obiettivi per la prossima legislatura, piuttosto che ripetere il gioco – ormai consunto – di chiedere all’elettorato un mandato in bianco da utilizzare secondo le convenienze.

Che fare?
Il vero problema di Renzi è l’anti-renzismo. I suoi atteggiamenti, la sua arroganza, invece di attirargli consensi lo hanno messo nelle stesse condizioni in cui si trovò a suo tempo Berlusconi: costringere la politica italiana a misurarsi sulla sua persona invece che sui problemi del Paese. Per cui già vediamo che il cemento che tiene insieme le sinistre (da Pisapia a Bersani con i relativi seguiti) è soltanto l’anti-renzismo, i sindacati hanno ritrovato una precaria unità sulla pregiudiziale anti-renziana, una possibile alleanza tra l’estrema sinistra e Grillo sarebbe anch’essa fondata sostanzialmente su un’avversione condivisa nei confronti del leader del PD, il centro-destra non avrebbe alcun interesse a spezzare tale condizione di isolamento, e all’interno della stessa maggioranza renziana si avvertirebbero inevitabilmente i primi scricchiolii.
Naturalmente in tale contesto il coinvolgimento del padre di Renzi nello scandalo CONSIP e la questione Boschi – al di là dell’effettiva consistenza degli addebiti e dei sospetti – non contribuisce a risollevare l’immagine dell’ex-premier e rende facile l’azione di delegittimazione portata avanti con spregiudicatezza dai Cinque Stelle.
Per salvarsi Renzi dovrebbe fare il contrario di quello che fa. A cominciare dal sostegno al governo Gentiloni che – al di là delle parole – tutti percepiscono come forzato e condizionato da una voglia di tornare a palazzo Chigi per imporre le “sue” soluzioni; nessuno ha dimenticato l’”Enrico stai sereno” che preannunciò la brutale liquidazione di Letta. Questa volta però sarebbe diverso e non è detto che finirebbe come allora. La proposta di risolvere il deficit strutturale del nostro bilancio modificando il trattato di Maastricht, al di là dei suoi discutibili contenuti (perché ancora una volta sposta il problema sugli altri invece di fare i conti con noi stessi), per il modo in cui è stato espresso e per provenire dal capo della maggioranza che sostiene il governo, è servita soltanto a mettere in difficoltà Gentiloni e Padoan (del quale va sottolineata la gelida risposta: “riguarderà il futuro governo”). Anche le forzature sul cosiddetto “ius soli”, un problema davvero trascurabile per le sue reali conseguenze ma indecorosamente ammantato da ragioni di civiltà assolutamente indimostrabili, rientrano nel disegno di mettere in difficoltà Gentiloni. Forse anche nella speranza di costringerlo alle dimissioni e anticipare le elezioni. Un disegno che però potrebbe trovare proprio al Quirinale ostacoli prevedibili.
L’unica cosa quindi che Renzi dovrebbe fare è proprio quella che per il suo temperamento non sa fare: stare fermo. Quando ero giovane circolava una battuta molto volgare: se stanno per mettertelo nel di dietro meglio restare immobili; ogni movimento facilita il compito di chi ci sta provando.

P.S. Sto leggendo una interessante biografia dell’ultima imperatrice della Cina, la famosa Cixi. Di fronte alle ingiunzioni arroganti e offensive dei plenipotenziari inglesi e francesi in cui però erano contenute precise richieste sull’apertura della Cina alla libertà di commercio e misure per la modernizzazione del Paese, rispondendo alle reazioni indignate dei suoi cortigiani l’imperatrice replicò che gli occidentali “non avevano tutti i torti. Quando Hart (un inglese che lei stessa aveva posto a capo delle dogane con grandi vantaggi) suggerisce di adottare i metodi occidentali per l’estrazione mineraria, la cantieristica navale, la produzione di armi e l’addestramento militare” ha sostanzialmente ragione. La forma poco importava perché “rendere forte la Cina è il solo modo per garantire che i Paesi stranieri non entrino in conflitto e ci guardino dall’alto in basso”.
Chi ha orecchie per intendere

 

Franco Chiarenza
10 luglio 2017

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