I REATI D’OPINIONE

 

L’esclusione di una casa editrice dichiaratamente fascista dalla fiera del libro di Torino ha suscitato grandi perplessità in chi ritiene di essere liberale. Le idee sbagliate si combattono con altre idee non con provvedimenti censori (e men che meno con strumenti legislativi) che ottengono puntualmente l’effetto contrario: quello di attirare curiosità sul “proibito” aumentandone il richiamo e, ad esso connesso, l’altro di offrire un’aureola di persecuzione a chi ne viene colpito, fino al punto di consentirgli di ergersi a difensore della libertà d’opinione. Molti hanno affermato che la libertà d’opinione è sacra ma vi sono limiti che non si possono superare. E chi decide tali limiti? Lo Stato, le leggi? E se, cambiando le maggioranze e le leggi, si mettessero all’indice le opere di Gramsci? In un sistema liberale il reato d’opinione non esiste, senza se e senza ma; ricorrere alla legge per difendere le proprie opinioni non è un segno di forza, al contrario.
Dove invece occorre intervenire con durezza (e spesso non lo si fa) è nei confronti di chi in nome di idee sbagliate si ritiene autorizzato ad esercitare la violenza: siano essi gli squadristi di Casa Pound, i gilet gialli, i black block, o chiunque altro cerchi di alterare le procedure liberal-democratiche con la forza. Nei loro confronti: processi per direttissima, condanne senza attenuanti e sospensioni condizionali della pena.

Il problema è trattato nel “Liberale Qualunque”

E’ lecito in nome della libertà consentire la diffusione e la propaganda di ideologie che negano la libertà?
E’ una vecchia questione, sollevata più volte, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, a proposito della possibilità di rendere illegali i partiti che si richiamano a principi totalitari; la Costituzione italiana risolse il problema vietando la ricostituzione del partito fascista, quella tedesca, più drasticamente, di tutti i partiti considerati anti-democratici (e quindi, non soltanto del partito nazista ma anche di quello comunista). La questione si è riproposta in altri termini quando si è diffusa una corrente storiografica, definita “negazionismo”, rappresentata da alcuni studiosi che negano l’esistenza stessa di taluni fatti storici dati per certi e generalmente considerati più che provati; tipiche le posizioni sulla shoah di Robert Faurisson o di David Irving (che per questo è stato anche condannato penalmente in Austria).
Negare alcuni fatti storici incontrovertibili è prima ancora che una falsità una grande scemenza in cui si cimentano storici in cerca di facile pubblicità; ma ciò non giustifica da un punto di vista liberale alcuna forma di censura o di repressione. Ogni tanto invece uomini di governo che si dichiarano democratici e liberali cadono nell’errore – o meglio nell’ingenuità – di vietare ai propri cittadini di essere (o di manifestarsi) anti-democratici; il che mi pare una manifestazione di stupidità tanto più grave in quanto espressa in nome della democrazia.
Ognuno deve essere libero di esprimere con ogni mezzo le sciocchezze che crede; sul piano delle idee non può esistere altra contestazione che quella che deriva dalle idee stesse. Anche perché talvolta è accaduto (anche se certo non è il caso dell’Olocausto) che “certezze” storiche che si ritenevano consolidate siano state ridimensionate o addirittura rovesciate da nuove ricerche. Il “revisionismo” è il sale della storia e non accettare mai certezze assolute è un fondamento del liberalismo. Io resto sempre del parere di Voltaire: “Non condivido le tue idee ma mi batterò perché tu abbia la libertà di esprimerle”.

Chi non la pensa così cita un passo di Popper in cui il filosofo liberale scriveva: “Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro l’attacco degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi”.
Ma si tratta di un paradosso poco difendibile, come lo stesso Popper sapeva benissimo, avendo affermato in precedenza che la democrazia liberale va intesa come società “sempre aperta alle idee e specialmente a quelle provenienti dall’opposizione”.
I liberali devono sempre tener ferma la distinzione tra la difesa – necessaria e doverosa – nei confronti di chi compie atti di aggressione contro le istituzioni liberal-democratiche, e la tolleranza sulle idee, per assurde e illiberali che possano essere. La repressione, soprattutto penale, i liberali la riservano ai comportamenti illeciti, mai alle opinioni. Mettere in prigione gli imbecilli attiva un meccanismo pericoloso per il quale essi finiscono per apparire degli eroi, o addirittura dei campioni della libertà di pensiero !!!
Una volta un giovane amico, purtroppo schierato su inaccettabili posizioni neo-fasciste (anche con connotazioni razziste e negazioniste), mi chiese provocatoriamente se accettavo di fare il responsabile di una loro pubblicazione che non poteva essere diffusa per le disposizioni che prevedono un giornalista professionista come gerente; risposi di sì, a condizione che si specificasse nel giornale che la mia firma non significava adesione alcuna alle idee contenute nella pubblicazione ed era stata apposta al solo fine di consentire la libertà di espressione. Molti radicali lo hanno fatto in passato con pubblicazioni di estrema sinistra. Andò a finire che non se ne fece nulla perché la richiesta era appunto soltanto una provocazione per costringere un liberale a misurarsi con una presunta contraddizione che tale peraltro non è.

 

F. Chiarenza, Il Liberale Qualunque, pp. 635-637