INTERCETTAZIONI TELEFONICHE
Il Consiglio dei ministri ha finalmente approvato un decreto legislativo che regola in qualche modo le intercettazioni disposte dalla magistratura. Il decreto è stato molto criticato dalla sinistra (politica e giudiziaria) ma, da un punto di vista liberale, mi pare che vada nella giusta direzione.
In uno stato di diritto il compito della giustizia non è quello di selezionare i buoni dai cattivi ed esporre questi ultimi al ludibrio della pubblica opinione, opportunamente scatenata dai mass-media, ma piuttosto di stabilire se un cittadino ha violato o meno la legge e, soltanto in caso affermativo, avviare la procedura processuale che, in tre gradi di giudizio, accerti le sue responsabilità. Recentemente invece si è completamente perso di vista il fondamentale principio della presunzione di innocenza fino a condanna definitiva malgrado in proposito l’articolo 27 della Costituzione sia perentorio: “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”.
La pubblicazione di intercettazioni telefoniche non attinenti a uno specifico procedimento penale ha determinato un fenomeno che compromette gravemente tale principio innescando processi mediatici che, facendo di fatto venir meno il diritto alla difesa, si trasformano talvolta in autentici linciaggi che operano immediatamente nella pubblica considerazione provocando effetti che nessuna successiva sentenza della magistratura potrà cancellare. Per questo le nuove disposizioni legislative obbligando la magistratura, con opportune procedure, a separare dagli atti del procedimento (pubblici) le intercettazioni non attinenti ad esso, vanno nella giusta direzione di tutelare i diritti inviolabili della persona e la segretezza delle comunicazioni (anch’essa prevista dalla Costituzione per estensione dell’articolo 15).
Il punto debole delle nuove disposizioni legislative è un altro: quello di trasferire le responsabilità della magistratura (che possono essere determinate per legge) ai mezzi di informazione, assegnando a questi ultimi un compito che non solo non gli spetta ma impedisce di fatto ai giornalisti di svolgere la funzione di controllo sui comportamenti della classe politica che, in una democrazia liberale, corrisponde al diritto della pubblica opinione ad essere informata. Il dovere dei giornalisti è quello di pubblicare tutte le informazioni di cui vengono a conoscenza e che in coscienza ritengono meritevoli di essere diffuse; non spetta a loro auto-censurarsi (se non volontariamente). E’invece compito della magistratura impedire la fuga di notizie e di documenti riservati e procedere con severità nei confronti di chi – anche nel suo ambito – se ne serve per finalità politiche o per una distorta concezione della funzione giudiziaria che, ripeto, in uno stato liberale non è quella di by-passare le procedure fissate a garanzia dei cittadini per avviare scorciatoie mediatiche, trasformando così la presunzione di innocenza in presunzione di colpevolezza. I liberali non amano i processi sommari (come quelli che inevitabilmente si celebrano nelle piazze, fisiche o mediatiche che siano); preferiscono sempre un colpevole in libertà a un innocente in galera, seguendo l’aureo principio del diritto romano: in dubio pro reo.
Il Liberale Qualunque – parte terza – cap. II – pag. 251
Si può in nome della riservatezza personale comprimere il diritto di cronaca?
La risposta non è univoca perché si tratta di due diritti entrambi meritevoli di protezione ma spesso tra loro confliggenti. In linea di principio quando le notizie (e tali sono le intercettazioni comunque pervenute) riguardano personaggi pubblici, in una democrazia liberale è lecito pubblicarle, perché ciò rientra nel compito dei mezzi di informazione di esercitare un controllo sulla classe politica (modello watch dog); l’opinione pubblica ha il diritto di conoscere ogni informazione, anche privata, che riguarda chi esercita il potere, onde valutare l’affidabilità dei propri rappresentanti. Esistono naturalmente, oltre le disposizioni già esistenti nel codice penale, dei limiti che fanno parte della coscienza professionale dei giornalisti; essi possono essere indicati nei codici deontologici ma mai costituire materia di intervento legislativo, per evitare il rischio di ledere profondamente la libertà di informazione. Quando non si tratta di personaggi pubblici il diritto alla riservatezza personale deve essere prevalente; non si giustificano quindi talune violazioni emerse sui mezzi di informazione, comunque motivate. Le intercettazioni rappresentano uno strumento di indagine come altri e non devono essere utilizzate e rese pubbliche nei loro contenuti al di fuori delle garanzie processuali. Va però specificato che non spetta agli operatori dei mezzi di comunicazione compiere tale valutazione; se alcune informazioni che dovrebbero restare riservate vengono fatte pervenire ai giornalisti, ciò non riguarda la loro responsabilità ma quella di chi era tenuto a garantirne la segretezza. Il compito, anzi il dovere, dei giornalisti è quello di valutare liberamente l’opportunità di pubblicare le notizie dopo averne verificata l’attendibilità. Mi spiego meglio con un esempio. La conversazione intercettata tra due costruttori edili che gioiscono di un terremoto per le commesse che potranno derivarne è ripugnante; ma la sua diffusione attraverso la stampa è lecita soltanto se essa è strettamente inerente a un procedimento giudiziario già avviato e di cui sono stati depositati gli atti, altrimenti il magistrato deve evitare di renderla pubblica, considerandola semmai un elemento per la formulazione di un nuovo reato, coperto da segreto fino alla decisione dell’eventuale rinvio a giudizio. Altrimenti qualsiasi intercettazione, magari estrapolata dal contesto, può trasformarsi in uno strumento di aggressione mediatica che nulla ha a che fare con le esigenze dell’informazione (e nemmeno della giustizia).