L’incredibile storia del Grillo liberale

Se c’è una cosa bella della politica è che non ci si annoia mai; molto meglio del campionato di calcio dove, comunque vadano le cose, vince sempre la Juventus. Il doppio colpo di scena Grillo – ALDE e ritorno – ne è la dimostrazione.
I fatti sono noti: su spinta di Roberto Casaleggio il leader pentastellato annuncia il divorzio dall’oltranzista nazionalista inglese Farage nel parlamento europeo e chiama elettronicamente a raccolta i decisori del movimento sulla possibilità di un’alleanza coi liberali europei dell’ALDE (in realtà già negoziata tra Beppe Grillo e Guy Verhofstadt). C’è qualche malumore nella base ma i disegni del fondatore sono imperscrutabili come quelli di Dio e quindi non si discutono: approvati col 78%. Ma – sorpresa! – chi non è d’accordo a questo punto è il gruppo parlamentare dell’ALDE nel quale pesano in maniera determinante i liberali tedeschi. Un pasticcio incomprensibile come non se ne erano visti da tempo e una seconda dimostrazione dell’incapacità e del dilettantismo politico di Grillo dopo la vicenda ancora aperta della sindaca di Roma.

Poche cose sono chiare dell’ideologia politica dei Cinque Stelle, ma tra quelle più accertate ci sono sempre state un’avversione ad ogni forma di federalismo europeo (in particolare nei confronti della moneta unica), una predilezione per la democrazia diretta rispetto al parlamentarismo liberale, un estremismo ecologico che si spinge fino alla messa in discussione di alcuni diritti individuali; tutte cose che con il liberalismo non soltanto hanno poco a che fare ma talvolta ne rappresentano l’esatto contrario.
Come possono Grillo e Casaleggio avere pensato di entrare a far parte del club (anche se un po’ decaduto) dei liberali europei? E come può Verhofstadt avere considerato possibile un matrimonio così male assortito?
Le risposte più probabili non fanno onore a nessuna delle due parti in commedia se è vero – come sembra – che nelle intenzioni dei due leader ci fosse un’alleanza tecnica fondata su uno scambio per cui i cinque stelle avrebbero appoggiato la candidatura dello statista belga alla presidenza del Parlamento europeo (per la quale Verhofstadt dovrà confrontarsi col socialista Pittella e col popolare Tajani) mentre Grillo avrebbe salvato i consistenti finanziamenti al gruppo (che avrebbe perso dopo il divorzio da Farange). Non si sa per chi dei due provare più vergogna.

Una postilla. Forse in questa vicenda mal condotta e per certi aspetti ridicola c’è – almeno per quanto riguarda il movimento cinque stelle – qualcosa di più. Sembra evidenziarsi una divaricazione sempre più avvertibile tra una linea moderata in cerca di una “normalità” politica (soprattutto nell’articolazione delle alleanze) e un’anima populista più rozza e spregiudicata che Casaleggio stenta a tenere a freno. Grillo media ma somiglia sempre di più a un prestigioso vaso di coccio tra vasi di ferro.

 

Franco Chiarenza
11 gennaio 2017

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