Mario Pannunzio: La civiltà liberale
Parlare del “Mondo” di Pannunzio – inteso come settimanale – significa parlare del mondo di Pannunzio: dei suoi amici, dei suoi maestri, del suo amato Tocqueville e soprattutto dell’atmosfera culturale che accompagnò l’avventura di un foglio destinato ad imporsi come una delle pubblicazioni più autorevoli del suo tempo. Questo volume curato da Pier Franco Quaglieni – Mario Pannunzio: La civiltà liberale (Golem edizioni, 2020) – rappresenta una lettura molto utile per comprendere tanto il profilo intellettuale di questa importante personalità del giornalismo italiano quanto la natura e le caratteristiche della sua creatura, che fondò nel 1949 e diresse fino alla chiusura. Questa ricostruzione risulta ricca e sfaccettata, anche grazie alla polifonia di voci al suo interno. Nel libro si possono infatti trovare ricordi e testimonianze – molte delle quali legate anche all’attività del “Centro Pannunzio” – ma anche ricostruzioni storiche o memorialistiche, oltre alla riproduzione di numerosi articoli pubblicati nel 1968 in morte del direttore del “Mondo”.
Questi interventi offrono un ritratto molto vivido di un intellettuale atipico, che scriveva poco e preferiva insegnare a scrivere, che leggeva di tutto ma che in vita pubblicò un solo libro: Le passioni di Tocqueville, autore nel quale si rivedeva e da cui traeva costante ispirazione. I contributi affrontano i temi più rilevanti della vita pubblica di Pannunzio e della sua attività di animatore culturale: la sua formazione, nella natia Lucca e poi a Roma; il rapporto con il regime, tra scetticismo, fronda e disimpegno; il ritorno alla democrazia, che lo vide protagonista anche attraverso la direzione di “Risorgimento liberale” e in seguito del “Mondo”; il sodalizio con Ernesto Rossi, venuto meno dopo lo scoppio del caso Piccardi; l’impegno politico, nel partito liberale prima e in quello radicale poi; infine le disillusioni, la fine del giornale, che precedette di appena due anni la morte del suo fondatore.
“Il Mondo” fu un settimanale molto innovativo, caratterizzato dalla notevole qualità grafica e da una cura certosina per i dettagli. L’impareggiabile prestigio dei collaboratori ne fece una tribuna ascoltata e rispettata anche da coloro che non si riconoscevano nel suo punto di vista. Giornale di nicchia, con un tratto di ostentato snobismo, fu anche una palestra per giovani di grande avvenire e costituì un modello che tanti provarono poi ad emulare, nell’ispirazione ideale se non nella formula giornalistica. Col tempo, è nato anche un mito del “Mondo”; un mito anche giustificato, che però come tutti i miti rischia sempre di scadere nell’agiografia o nel cliché.
La polemica sull’eredità morale di Pannunzio, sui suoi veri o presunti successori, sulle annessioni postume più o meno abusive è – in tutta sincerità – di scarsissimo interesse, da qualsiasi parte provenga. Piuttosto, sarebbe necessaria un’analisi su alcune questioni che percorrono tutto il libro e che meriterebbero un’approfondita riflessione: quali erano le concrete prospettive di una sinistra liberale – come quella che Pannunzio intendeva rappresentare – negli anni della guerra fredda? Su quali forze poteva contare? Come doveva strutturarsi il rapporto tra élite intellettuali e politica, nel quadro di una democrazia di massa e di una “repubblica dei partiti” in cui prevaleva la forza degli interessi organizzati? Quali erano le cause profonde della lamentata lontananza del nostro paese dai canoni delle democrazie avanzate e dalle idee più compatibili con le esigenze della vita contemporanea? E a questo proposito: la chiave interpretativa dell’anomalia italiana regge davvero alla prova del tempo?
Al di là di questi interrogativi di natura puramente storica, è impressionante l’attualità di alcune pagine riportate nel libro. Nell’editoriale comparso sull’ultimo numero del “Mondo” – 8 marzo 1966 – si poteva leggere: “Non accade soltanto in Italia, e lo si sa bene; ma in Italia il disinteresse per la cosa pubblica e per i dibattiti morali e culturali trova sempre un terreno di rifugio e di fuga. Il nostro Paese legge meno degli altri Paesi e i mezzi d’informazione sono più che altrove dominati dal conformismo e dall’ossequio. Domina soprattutto, in Italia, la presenza di un potere radicato e penetrante, di un governo segreto, morbido e sacerdotale, che conquista amici ed avversari e tende a snervare ogni iniziativa e ogni resistenza.” Era la famosa Italia alle vongole, spesso descritta da Pannunzio e dai suoi amici con severità e intransigenza: cinica, meschina, cortigiana, facilona, superficiale, servile, trasformista. È in fondo anche l’Italia di oggi, con molti anni in più e qualche speranza in meno. E senza un Pannunzio che la esorti a diventare qualcosa di meglio.
Saro Freni
31 ottobre 2021
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