Mattarella al Quirinale: trasloco rinviato
Non c’è che da scegliere: da destra a sinistra passando per i talk show apparentemente neutrali è tutto un fiorire di lamentazioni sulla incapacità dei partiti, sulla loro inarrestabile crisi, sullo “spettacolo indecoroso” offerto dai mille grandi elettori, sui ritardi incompatibili con una seria democrazia, e chi più ne ha più ne metta. Dall’alto dei miei anni (pari a quelli di Mattarella) resto un po’ stupito e divertito. Scopriamo adesso che i partiti – almeno nel formato ideologicamente compatto di cinquant’anni fa – sono in crisi? E, dopo avere inveito contro la partitocrazia che toglieva autonomia ai rappresentanti del popolo, adesso che è successo ce ne lamentiamo? E quante volte l’elezione del presidente della Repubblica è avvenuta attraverso accordi di segreteria? Pochissime, mi pare. Tempi lunghi? Uno dei presidenti più popolari della storia repubblicana – Sandro Pertini – fu eletto alla sedicesima votazione. Ho l’impressione – ma forse sbaglio io – che le cose siano andate diversamente da come la raccontano tanti commentatori ed esperti delle vicende politiche.
Facciamo il gioco alla rovescia. Qual era il vero problema politico che rendeva importante questa elezione più di quanto sia avvenuto in passato? Il fatto che la presenza di Draghi era indispensabile per la sopravvivenza del governo – nessun altro essendo in grado di prenderne il posto con la stessa autorevolezza – e che quindi non era opportuno trasferirlo da palazzo Chigi al Quirinale. Molti giornalisti si sono lasciati influenzare dalla disponibilità espressa da Draghi ma in realtà si trattava soltanto di una mossa tattica che serviva a portare allo scoperto le manovre di chi voleva affossarlo non come candidato al Quirinale ma come inquilino di palazzo Chigi; il silenzio di Letta, il blocco degli astenuti, preludevano a un chiarimento definitivo sul governo non sulla presidenza della Repubblica. La manovra infatti ha messo in gravi difficoltà Salvini il quale da un lato non voleva lasciare alla Meloni il monopolio della rappresentanza degli umori populisti e sovranisti (per i quali personalmente ha molta simpatia) ma dall’altra doveva tenere conto del cosiddetto “partito dei governatori” (Zaia, Fontana, e Fedriga, con Giorgetti dietro le quinte) schierato nettamente a favore dell’orientamento filo-europeo e filo-atlantico del governo.
Ma se Draghi era indispensabile a palazzo Chigi (almeno per ora) chi al Quirinale? Qualcuno che presumibilmente non lo tenesse occupato per l’intero settennato e che desse garanzie di continuità con la politica di Mattarella. E chi meglio di Mattarella stesso?
La verità è che sulla sua riconferma erano tutti d’accordo, salvo la Meloni che vedeva così naufragare il suo progetto di affondare Draghi ricattando Salvini e conseguire il duplice obiettivo di fare fallire il PNRR e andare a elezioni anticipate con l’attuale legge elettorale che gli consentirebbe di assicurare a una destra egemonizzata da Fratelli d’Italia la maggioranza nel nuovo parlamento. C’era però un problema che riguardava la persona di Mattarella, non tanto per i suoi scrupoli costituzionali quanto per la necessità di spiegare all’opinione pubblica che l’opzione della riconferma nasceva da una impossibilità di trovare altre soluzioni condivise.
Per questa ragione Letta e Salvini (con Letta zio, cioè Gianni come arbitro?) hanno giocato a porte chiuse una partita di ping pong rimbalzandosi candidature reciprocamente inaccettabili. La Meloni l’aveva capito e candidando la Casellati (e poi la Belloni) cercava di mettersi di traverso; tuttavia la presidente del Senato era per molte ragioni impresentabile (ed è stata infatti cecchinata all’interno del centro-destra) e la Belloni era troppo poco conosciuta per rappresentare una candidatura credibile (e tuttavia si trattava di una mossa abile che non a caso Renzi ha cercato subito di “sterilizzare” con l’accusa pretestuosa della sua permanenza nei servizi segreti).
Fallita la manovra della Meloni, Salvini ha fermato l’ascensore col quale stava salendo da lei a metà strada e invece di imboccare il suo ufficio si è ritrovato in quello di Letta per l’ accordo definitivo.
Fantapolitica? Forse soltanto politica che da sempre passa anche attraverso espedienti tattici purché funzionali alle finalità strategiche (che in questo caso investono il futuro del Paese che non lo sa ma è davanti a un bivio: o con Macron e Scholz verso l’integrazione europea o con Orban e Kaczynski verso la sua dissoluzione).
Naturalmente la storia non finisce qui: Mattarella non potrà restare al Quirinale per altri sette anni, lo sanno tutti a cominciare da lui. Il problema si riproporrà quindi tra un anno. Dopo le elezioni, dicono i soliti “quirinalizi”. Ma, mi permetto di osservare, perché mai? Se l’obiettivo sarà a quel punto di portare Draghi finalmente in sicurezza in cima al Colle, meglio farlo con questo parlamento dove esiste un’obiettiva convergenza sull’opportunità di garantire attraverso la sua persona le relazioni con l’Europa e le alleanze internazionali piuttosto che correre il rischio di nuovi rapporti di forza che potrebbero scaturire dal prossimo parlamento. Non vi pare? Oppure sto confondendo i miei desideri con una realtà del tutto diversa?
Franco Chiarenza
06 febbraio 2022
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