Neofascismo e neoantifascismo

Alfredo Rocco, giurista fascista, nel presentare alla Camera nel 1932 il nuovo codice penale, ebbe a dire: “Noi abbiamo seppellito il liberalismo definitivamente. Esso è morto e non resusciterà né ora né mai.” Per fortuna mai previsione si dimostrò più sbagliata, ma ciò che non riuscirono a fare i fascisti stanno tentando di fare alcuni antifascisti militanti legittimati dalle provocazioni velleitarie di sparuti gruppi di teppisti che – non da oggi – hanno trovato nelle rivendicazioni di estrema destra (più ispirate al nazismo, per la verità, che non al fascismo) la maniera di scandalizzare la grande maggioranza degli italiani che – pur nelle sue diversità – si riconosce nei valori della democrazia e del pluralismo politico. La reazione però di certi antifascisti militanti rischia involontariamente di distruggere un caposaldo della cultura liberale e di favorire sostanzialmente proprio quel neo-fascismo che si vorrebbe contrastare. La tentazione ricorrente di proibire per legge le idee sbagliate e la loro libera manifestazione rappresenta infatti un grave attentato ai principi del liberalismo che fonda la sua superiorità proprio per non ricorrere a metodi totalitari (propri della cultura dei suoi avversari) per difendere se stesso. Salvo naturalmente il caso che la democrazia si trovi realmente in pericolo mortale, il che non mi pare corrisponda alla realtà attuale, almeno nel nostro Paese.
Oltretutto queste leggi e proibizioni pretese dai giacobini dell’anti-fascismo, oltre a cadere nell’inevitabile contraddizione di utilizzare metodi “fascisti” per chiudere la bocca ai fascisti, sono da sempre inutili, inapplicabili e controproducenti.

  • Inutili perché non servono a modificare uno stato di fatto se davvero avesse dimensioni tali da renderlo preoccupante, il che per fortuna non è.
  • Inapplicabili perché la distinzione tra “istigazione” “propaganda” “esibizione di simboli” ecc. è talmente difficile da definire che o si riduce a una reale limitazione della libertà di espressione tutelata dalla Costituzione oppure può produrre la cancellazione della memoria storica (monumenti, opere d’arte, espressioni letterarie: il futurismo, per esempio, e certo D’Annunzio vogliamo inserirli in un nuovo “Indice” democratico?). Si rischia il ridicolo ancor prima dell’inutilità, tenuto conto che viviamo oggi in un mondo che attraverso internet non conosce più frontiere, nel bene e nel male.
  • Ma soprattutto sono controproducenti perché dando visibilità mediatica alle spericolate provocazioni di pochi esaltati finisce per dilatarne l’importanza e apre la strada a un martirologio fascista in nome della libertà di espressione di cui non sentiamo alcuna necessità.

Altri sono i rimedi “liberali” a questa esplosione – limitata ma comunque inquietante – di rifiuto delle forme e della sostanza della liberal democrazia; partendo dalla constatazione che alla sua base c’è soprattutto molta ignoranza.
Vogliamo restituire all’educazione civica quel ruolo fondamentale che dovrebbe avere in una scuola democratica? Vogliamo – attraverso gli stessi strumenti che la comunicazione contemporanea ci mette a disposizione – diffondere i principi di libertà, di rispetto delle diversità, di cosa significa lo “stato di diritto” in cui diciamo di riconoscerci, di quali sono i fondamenti di un’economia moderna e in essi quali le possibili opzioni?
In tale contesto vanno anche richiamati i valori della Resistenza ma non per metterne in rilievo i momenti di divisione, quando ha assunto l’aspetto di una guerra civile il cui ricordo ancora segna la memoria di tante famiglie, ma quelli su cui la grande maggioranza degli italiani si è riconosciuta dopo la guerra per fondare quel patto di convivenza che – con tutti i suoi limiti – è comunque rappresentato dalla Costituzione.
Altrimenti si rischia di ritornare a stucchevoli e superate contrapposizioni in cui riemergerà inevitabilmente anche il ricordo dell’essenza totalitaria del comunismo e delle ambiguità di quanti ad esso si ispirarono, facendo così il gioco dei burattinai che stanno dietro i quattro scalzacani di “Casa Pound”, quello di riabilitare il fascismo come resistenza al comunismo.
Un sillogismo che va semplicemente respinto al mittente.

Franco Chiarenza
10 dicembre 2017

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