LA “MOZIONE SEGRE”

 

Il voto contrario dei partiti di centro-destra all’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta straordinaria contro l’odio, il razzismo, e l’antisemitismo, proposta dalla senatrice a vita Liliana Segre con l’intento di studiare misure eccezionali contro chi istiga all’odio e alla violenza, ha delle motivazioni che, almeno in parte, un liberale come me può condividere. Nel metodo, perché fenomeni gravi che affondano in rozzi pregiudizi culturali la loro diffusione non si combattono con le leggi; finché essi si esprimono con delle idee, per sbagliate che possano essere, essi sono protetti dal principio liberale della libertà di espressione che non conosce altri limiti che quelli della diffamazione e dell’istigazione a delinquere (che già esiste nella legislazione vigente). Altrimenti si cade in una visione etica dello Stato che è quanto di più diverso da uno stato liberale si possa immaginare. Le leggi devono punire i comportamenti e gli atti che violano i diritti individuali non la libera espressione di idee che non si condividono. Razzismo, antisemitismo, rigurgiti nazisti si combattono contrapponendo le incontrovertibili dimostrazioni della storia senza ricorrere a censure e repressioni ideologiche che non appartengono alla cultura liberale. Col rischio, oltretutto, di ottenere risultati controproducenti.
La mozione Segre presenta anche delle criticità nella sua formulazione, per esempio quando accomuna il nazionalismo al razzismo, fenomeni assai diversi e tutt’altro che sovrapponibili, prestandosi a interpretazioni repressive di ogni forma di dissenso che vada oltre i limiti del “polically correct”. Capisco le motivazioni che hanno indotto la senatrice Segre a proporla, rispetto tutto ciò che la figura di Liliana Segre rappresenta e pertanto stigmatizzo le manifestazioni d’odio che sui “social” l’hanno coinvolta, ma il metodo proposto suscita in me perplessità e timori.
Il problema semmai, ancora una volta, riguarda la gestione della rete, ormai dominante nell’informazione, e delle regole che dovrebbero caratterizzarne l’utilizzo, oggi abbandonato alla più completa irresponsabilità.

Sulla diffusione di ideologie che negano la libertà ho scritto (cinque anni fa) su “Il Liberale Qualunque”:

E’ lecito in nome della libertà consentire la diffusione e la propaganda di ideologie che negano la libertà?
E’ una vecchia questione, sollevata più volte, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, a proposito della possibilità di rendere illegali i partiti che si richiamano a principi totalitari; la Costituzione italiana risolse il problema vietando la ricostituzione del partito fascista, quella tedesca, più drasticamente, di tutti i partiti considerati anti-democratici (e quindi, non soltanto del partito nazista ma anche di quello comunista). La questione si è riproposta in altri termini quando si è diffusa una corrente storiografica, definita “negazionismo”, rappresentata da alcuni studiosi che negano l’esistenza stessa di taluni fatti storici dati per certi e generalmente considerati più che provati; tipiche le posizioni sulla shoah di Robert Faurisson o di David Irving (che per questo è stato anche condannato penalmente in Austria).
Negare alcuni fatti storici incontrovertibili è prima ancora che una falsità una grande scemenza in cui si cimentano storici in cerca di facile pubblicità; ma ciò non giustifica da un punto di vista liberale alcuna forma di censura o di repressione. Ogni tanto invece uomini di governo che si dichiarano democratici e liberali cadono nell’errore – o meglio nell’ingenuità – di vietare ai propri cittadini di essere (o di manifestarsi) anti-democratici; il che mi pare una manifestazione di stupidità tanto più grave in quanto espressa in nome della democrazia.
Ognuno deve essere libero di esprimere con ogni mezzo le sciocchezze che crede; sul piano delle idee non può esistere altra contestazione che quella che deriva dalle idee stesse. Anche perché talvolta è accaduto (anche se certo non è il caso dell’Olocausto) che “certezze” storiche che si ritenevano consolidate siano state ridimensionate o addirittura rovesciate da nuove ricerche. Il “revisionismo” è il sale della storia e non accettare mai certezze assolute è un fondamento del liberalismo. Io resto sempre del parere di Voltaire: “Non condivido le tue idee ma mi batterò perché tu abbia la libertà di esprimerle”.

Chi non la pensa così cita un passo di Popper in cui il filosofo liberale scriveva: “Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro l’attacco degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi”.
Ma si tratta di un paradosso poco difendibile, come lo stesso Popper sapeva benissimo, avendo affermato in precedenza che la democrazia liberale va intesa come società “sempre aperta alle idee e specialmente a quelle provenienti dall’opposizione”.
I liberali devono sempre tener ferma la distinzione tra la difesa – necessaria e doverosa – nei confronti di chi compie atti di aggressione contro le istituzioni liberal-democratiche, e la tolleranza sulle idee, per assurde e illiberali che possano essere. La repressione, soprattutto penale, i liberali la riservano ai comportamenti illeciti, mai alle opinioni. Mettere in prigione gli imbecilli attiva un meccanismo pericoloso per il quale essi finiscono per apparire degli eroi, o addirittura dei campioni della libertà di pensiero!!!

 

F. Chiarenza, Il Liberale Qualunque, pp. 635-637