Giulio Giorello rivendicava la libertà del laico, in un paese di finti laici e laici pentiti. È una libertà difficile da esercitare, perché non si affida all’autorità di alcuna chiesa, fosse pure un’ipotetica chiesa dei laici. Di nessuna chiesa. La libertà del laico (Raffaello Cortina Editore, 2005) è certamente un manifesto, ma non è un sermone; è un libro colto senza essere pedante. Giorello scriveva in modo limpido e comprensibile, come tutti quelli che hanno le idee chiare. Rifuggiva dalle filosofie arcane e criptiche che si baloccano con giochi di parole e funambolismi verbali, allusioni e rimandi. Era anche – e così i suoi libri – un uomo ironico, come lo sono in genere le persone serie.

Il suo non era un laicismo da mangiapreti, ma la riaffermazione continua di un metodo, fatto di apertura alle ragioni dell’altro e di accettazione della possibilità dell’errore. Riteneva che ogni discussione dovesse avere una base razionale, e che andasse difesa con argomenti confutabili. Scriveva infatti che “la questione non riguarda tanto l’abusata contrapposizione tra fides e ratio, quanto quella tra fallibilismo e infallibilismo, tra una verità che non pretende di salvare neanche se stessa e una verità che promette salvezza a chiunque si sottometta, tra una ragione che misura la propria gratuità e finitezza senza aver nostalgia di un fondamento e una ragione che nell’imposizione del fondamento trova il proprio sostegno e la propria giustificazione.” Esaltava il confronto e la discussione come modo per selezionare gli argomenti migliori e farli prevalere. E soprattutto criticava i molti che, in nome di più o meno precisati valori, pretendevano di imporli anche a coloro che non li riconoscevano come tali. Difendeva le conquiste del progresso scientifico da chi ne metteva in luce i potenziali pericoli, come la distruzione dei legami sociali e lo sgretolamento delle vecchie certezze. “Tali certezze non sono che idoli, cui spesso si sacrificano i destini di esseri viventi che quelle certezze non nutrono. Quanto a una società che non si riveli robusta rispetto alle perturbazioni prodotte dalla crescita della conoscenza tecnico-scientifica, è davvero responsabile difenderla?”. In questo pamphlet, Giorello si richiama a Bertrand Russell, Karl Popper, John Stuart Mill, e anche a quel Luigi Einaudi che esaltava la bellezza della lotta, contro ogni forma di paternalismo e di unanimismo. Eppure si accorge che queste idee suonano spesso inattuali, “perché l’indifferenza e la tolleranza di cui ci parlano sembrano agli antipodi degli stereotipi e modelli correnti.”

Per concludere, è opportuno spendere qualche parola sul tema dell’identità, oggi al centro di parecchie contese. Giorello osserva acutamente che si tratta di un approccio profondamente erroneo, nel modo in cui viene generalmente impostato. “Non ritengo che i rischi legati a una possibile degenerazione della società aperta e libera (o il riconoscimento del suo carattere contingente e storico) siano motivi sufficienti per ripiegare sulla clausura. Sappiamo tutti che la vita finisce con la morte: questa non è una ragione per non vivere.” Per di più, è dubbio che queste identità siano davvero definite come realtà solide e cristallizzate, se non applicando schemi semplicistici e a volte mistificatori. Senza contare che – replica ai paladini dei valori immutabili – “ben da poco sarebbero quei valori se non fossero capaci di resistere non solo a un attacco dall’esterno, ma anche e soprattutto alla critica dall’interno. E se mediante l’esercizio della critica ne troviamo di migliori, ben vengano.”

In un altro brillante volumetto – Senza Dio. Del buon uso dell’ateismo (Longanesi, 2010) – Giorello spiega molto eloquentemente il suo punto di vista in tema di tolleranza e anticonformismo, di autonomia individuale nei confronti della società. L’ateo è per lui “colui che non aderisce: colui per il quale ogni comunità è al più una locanda dove sostare e non una dimora per tutta l’esistenza; una collettività di cui si impegna a rispettare le norme di coesistenza, ma di cui non necessariamente vuole o deve introiettare i valori profondi – perché ha uno stile diverso, o venera altri dei o nessun dio, o non ritiene che alcun valore sia così profondo da imporgli il sacrificio della propria autonomia o indipendenza di giudizio.” Oggi come ieri, sono molti i censori e gli oscurantisti che pretendono – senza averne alcun titolo – di essere i padroni della locanda, trasformandola nella loro bettola o peggio nella loro caserma. E invece clienti come Giorello – che ci ha lasciato il 15 giugno, a settantacinque anni – avremmo voluto si fermassero di più.

 

Saro Freni
25 giugno 2020

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