Le convulsioni pre-elettorali della sinistra

Finalmente Veltroni l’ha detto. La sinistra è in preda a convulsioni che non accennano a diminuire perché ci troviamo di fronte a una “resa dei conti”. Una resa dei conti che parte da lontano e parte proprio da lui – da Veltroni – quando il suo progetto di costruire un nuovo partito democratico che finalmente tagliasse i residui legami con l’eredità comunista e si proponesse come una grande forza in grado di raccogliere consensi anche in quel serbatoio dell’elettorato di centro che pure in Italia – come altrove – rappresenta sempre l’ago della bilancia elettorale, fu contestato e affondato dall’ala sinistra rappresentata da D’Alema e Bersani, preoccupati che i tempi necessariamente lunghi di una rivoluzione palingenetica come quella proposta da Veltroni comportasse una rinuncia alle proprie origini e probabilmente – almeno in tempi brevi – una sconfitta elettorale.
Il conflitto è continuato riproponendosi con Renzi che del progetto veltroniano aveva colto il punto essenziale, sia pure con modi e toni indisponenti che certo non appartenevano al vecchio leader. E ancora una volta la vecchia sirena del “far qualcosa di sinistra” (anche se sbagliata) ha ripreso a suonare appigliandosi alla scarsa disponibilità del giovane segretario al “dialogo”. Anche se bisogna ricordare che “non essere disponibili al dialogo (o al confronto)” nel linguaggio della sinistra italiana significa non accettare la resa incondizionata alle idee della minoranza, sia essa politica o sindacale. E in effetti Renzi, pur avendo recentemente cambiato forma nei modi (che spesso in politica diventano sostanza) non sembra disponibile a cedere sul merito delle scelte programmatiche su cui ha caratterizzato il proprio governo (e che rappresentano anche la continuità del governo Gentiloni). Qualche incidente di percorso c’è stato, per esempio nel modo perentorio e ostinato con cui Renzi ha cercato di imporre una soluzione discutibile a una questione delicata come lo jus soli, e la successiva aggressione alla Banca d’Italia al momento del rinnovo del governatore, casi entrambi che hanno creato imbarazzo e difficoltà a Gentiloni e su cui un atteggiamento più soft avrebbe probabilmente sortito effetti più soddisfacenti.

L’eredità di Veltroni
Veltroni ha quindi ragione ma anche torto. Ha ragione quando denuncia che si tratta essenzialmente di una resa dei conti, ma ha torto se ritiene che si tratti di una questione personale. Non lo è oggi e non lo è stato ieri. Ed è per questo che i tentativi dei “pontieri” variamente configurati (come Fassino e Pisapia) sono destinati probabilmente a naufragare; e se dovessero riuscire si fonderebbero su compromessi ingestibili che mostrerebbero la corda già poche ore dopo le elezioni. Ha quindi ragione Roberto Speranza, giovane leader degli oltranzisti di sinistra? Credo di sì.
Il progetto del PD renziano (che peraltro comprende un fronte che va ben oltre il segretario) consiste essenzialmente in un programma socialdemocratico (anche se il termine è impronunciabile nei salotti della sinistra) fondato su un rilancio della produttività come condizione per la ripresa dell’occupazione (anche a costo di qualche attenuazione dei diritti dei lavoratori) nella consapevolezza che il modello sociale del passato fondato su un lavoro stabile e permanente non rappresenta più un obiettivo conseguibile per le trasformazioni profonde che il sistema capitalistico ha avuto in tutto il mondo; trasformazioni ancora in corso e che faranno emergere nuovi problemi con i progressi dell’automazione. In un contesto siffatto le protezioni sociali dovranno essere rafforzate ma anche modificate per essere funzionali al cambiamento, l’intervento dello Stato dovrà essere concentrato sulla costruzione del futuro attraverso la formazione e la ricerca, le grandi infrastrutture, l’eliminazione delle corporazioni, tutto ciò che serve a rendere attrattivi gli investimenti perché solo così si creano nuove opportunità di lavoro qualificato per i nostri giovani. Una prospettiva che guarda lontano e nel cui contesto l’appartenenza all’Europa non soltanto non può essere messa in discussione ma anzi rappresenta un’opportunità da rafforzare anche per fare fronte ai grandi cambiamenti sociali che si prospettano a livello mondiale e che comporteranno certamente anche una forte conflittualità politica. In questo quadro la questione degli immigrati va affrontata senza cedere a paure irrazionali in una visione del problema che guardi al futuro non soltanto in Africa ma anche da noi dove la contrazione della natalità comincia a far sentire i suoi effetti che diventeranno travolgenti nei prossimi vent’anni.

Progetti incompatibili
Se davvero questo è in sostanza il progetto di Renzi si tratta di una prospettiva su cui anche chi proviene da matrici culturali liberali può trovare delle convergenze ma che poco ha a che fare con una sinistra che mette al centro dell’attenzione il disagio sociale (sicuramente esistente) pensando di risolverlo con un aumento della spesa pubblica senza considerare gli effetti dirompenti che tale politica avrebbe sul piano internazionale e nella percezione della solvibilità del sistema Paese; come se non avessimo già visto come è andata a finire in Grecia dove Tsipras, andato al potere sull’onda di una protesta populista e anti-europea, ha dovuto andare a Canossa per interrompere un processo di insolvenza già in corso ottenendo soltanto così, dopo due anni di sacrifici e con l’aiuto dell’Europa, una ripresa consistente dell’economia la cui crescita quest’anno supera di un punto quella tanto sbandierata del nostro Paese. Se la sinistra pensa in questo modo di recuperare almeno una parte dell’elettorato scivolato nel territorio grillino si illude. Il successo di Grillo è dovuto solo parzialmente alle condizioni economiche e sociali del Paese mentre trova il suo fondamento nell’inaffidabilità e nella perdita di credibilità della classe dirigente dei partiti tradizionali (di cui Bersani e D’Alema fanno parte) dimostrate dalla corruzione endemica, dalla incapacità progettuale, dall’arrogante mantenimento di privilegi inaccettabili, dalla mancanza di una cultura di governo fondata sulla manutenzione, cioè quegli aspetti che per molti possono sembrare politicamente insignificanti ma che invece indirizzano molta parte dell’opinione pubblica e che sono anche alla base di una astensione elettorale che ha ormai raggiunto le dimensioni di una protesta di massa.

Quale maggioranza per il futuro?
A questo punto ci si domanda: se – come è prevedibile – dalle elezioni non uscirà una chiara maggioranza di governo sarà possibile trovare a sinistra quell’accordo di programma che è stato inutilmente cercato prima? E sarà numericamente sufficiente?
E se una maggioranza di centro-sinistra (o di centro-destra) non sarà possibile quale sarà lo scenario prevedibile? Grillo cambierà atteggiamento, e in favore di chi? Oppure si profila un’intesa Renzi-Berlusconi in nome del superiore interesse del Paese, magari patrocinato dal Quirinale, come molti commentatori prevedono? In questo caso però ci sarebbe il rischio che buona parte dell’elettorato non capirebbe e forse sarebbe meglio andare a nuove elezioni, magari con un diverso sistema elettorale che garantisca la governabilità (per esempio l’uninominale senza ballottaggio).
Ma è presto per fare previsioni; la data delle elezioni non è stata ancora fissata e molte cose possono ancora succedere.

 

Franco Chiarenza
27 novembre 2017

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