Perché è difficile fare un governo

Cerchiamo di capire perché è difficile costituire una maggioranza di governo.

Il Movimento Cinque Stelle non può rinunciare alla presidenza del consiglio per Di Maio pena la delegittimazione di fronte alla propria base, soprattutto in uno scenario che prevede la possibilità di tornare alle urne in tempi brevi. Se si crea una maggioranza alternativa avrebbe buon gioco a passare all’opposizione gridando “all’inciucio” sperando così di aumentare il consenso. Ma anche l’ipotesi che tutti facciano un passo indietro e lo facciano governare da solo (monocolore minoritario) non entusiasma i Cinque Stelle ben consapevoli del peso che dovrebbero assumersi a fronte di promesse elettorali molto impegnative e senza l’alibi di potere scaricare su qualche alleato il loro mancato adempimento . Quando le vittorie sono parziali il rischio è proprio questo: restare in un cul de sac.

La Lega sa che Salvini non è una personalità aggregante ed è molto difficile che – sia pure per motivi opposti – Cinque Stelle o democratici possano consentirgli di fare un governo, neppure di minoranza (cioè costituito soltanto dai tre partiti di centro-destra). Oltre tutto il suo principale alleato (Forza Italia) vede con preoccupazione un eventuale governo presieduto dal leader della Lega perché potrebbe accelerare la disgregazione di un partito appeso al carisma di Berlusconi. Il progetto di Salvini appare quindi chiaro: restare all’opposizione e mantenere una posizione di vantaggio in vista delle prossime elezioni.

Il Partito Democratico va incontro ovviamente a una resa dei conti interna dopo la lunga egemonia di Renzi. Se prevarrà la linea “collaborazionista” (consentire ai Cinque Stelle un monocolore minoritario) rischia la spaccatura della sua base; in ogni caso per realizzarsi essa avrebbe bisogno di un forte sostegno del Quirinale (appello alla responsabilità nell’interesse superiore del Paese, come Mattarella ha già cominciato a fare). Se invece prevarrà la linea dell’opposizione a oltranza (che potrebbe essere pagante nelle prossime elezioni) si costringerebbero Di Maio e Salvini a mettersi d’accordo oppure andare subito a nuove elezioni.
Se infine prevale una linea attendista, la mossa successiva spetterebbe al Quirinale e non sarebbe priva di incognite.

Forza Italia sta alla finestra e non può fare altro, almeno per ora. Berlusconi appoggerà il tentativo di Salvini sperando che fallisca (come è probabile). Se Salvini facesse un governo con Di Maio se ne dissocierebbe, magari con un’astensione, sperando così di recuperare i voti moderati che si sono lasciati attrarre dalla Lega (al nord) e dai Cinque Stelle (al sud). I numeri per fare un governo con i democratici non ci sono e in ogni caso ciò comporterebbe una rottura con Salvini (col quale comunque – non va dimenticato – FI amministra molte Regioni e Comuni). Nel frattempo si è aperta di nuovo la competizione tra i possibili successori di Berlusconi: Toti (pro-Lega)? Brunetta (anti-Lega)? Tajani (improbabile)? Parisi (pro-PD)? O nessuno di loro ma invece un’erede di famiglia (Marina Berlusconi)?

Gli altri (LEU, FdI, ecc) non hanno molta voce in capitolo perché rappresentano quote troppo piccole dello schieramento parlamentare. Dovrebbero avere interesse soprattutto a restare comunque all’opposizione.

Dunque, nuove elezioni? E se sì con quale governo? Se il presidente della Repubblica è costretto a prendere atto che non esistono né le condizioni per una maggioranza parlamentare precostituita né per un governo di unità nazionale limitato nel tempo e con lo scopo esclusivo di promuovere una nuova legge elettorale e adempiere all’ordinaria amministrazione, egli avrebbe davanti a sé due opzioni: 1) sciogliere il Parlamento e indire nuove elezioni (che dovrebbero svolgersi al massimo entro 70 giorni dal relativo decreto, andando quindi a coincidere con la piena stagione estiva); in tal caso resterebbe in carica l’attuale governo Gentiloni. 2) nominare un governo “istituzionale” di propria iniziativa, con o senza il consenso dei partiti, e inviarlo alle Camere per ottenere la fiducia; nel caso che l’ottenga mantenerlo in vita il tempo necessario per cambiare la legge elettorale, predisporre il bilancio 2018 e far fronte alle urgenze che si prefigurano nella politica internazionale (ed europea in particolare). Nel caso che non ottenga la fiducia indire nuove elezioni che però in tale evenienza si svolgerebbero presumibilmente in autunno e con il governo nominato dal Presidente (come è già accaduto in passato). Non credo sia praticabile la soluzione indicata da Eugenio Scalfari: prolungare per un anno la vita dell’attuale governo. Perché in presenza di un voto di sfiducia non avrebbe legittimità costituzionale.

Purtroppo i tempi dell’economia e della politica nella loro dimensione internazionale non sono conciliabili con quelli bizantini di casa nostra. Trump sta demolendo pezzo per pezzo la regolamentazione multinazionale del commercio che garantiva al nostro Paese (e all’Europa in generale) considerevoli vantaggi. L’Unione Europea, da parte sua, attraversa un momento forse cruciale per la sua sopravvivenza non soltanto per la difficile gestione della Brexit ma anche per il delinearsi al suo interno di tre diversi raggruppamenti difficilmente conciliabili.
Il primo, già attivo da qualche anno, è quello di Visegrad (Polonia, Cechia, Slovacchia, Ungheria) il quale tende a trasformare l’Unione in un’area di libero scambio calmierata da misure di sostegno in favore delle aree più deboli (in gran parte coincidenti con gli stessi paesi che aderiscono al gruppo), senza vincoli legislativi in tema di diritti. Il secondo si formerà probabilmente intorno all’asse franco-tedesco e comporterà una maggiore integrazione politica, militare e finanziaria. Il terzo potrebbe scaturire da un’iniziativa olandese (accolta con interesse dalle nazioni del nord-Europa) che richiama l’Unione a una severa applicazione della linea rigorista prevista dai trattati ma esclude ulteriori allargamenti dei poteri sovranazionali.
Sarebbe importante che l’Italia (e la Spagna) non restassero ai margini di un dibattito così importante e fossero in grado di prendere una posizione chiara e irreversibile.

 

Franco Chiarenza
10 marzo 2018

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