Legge Zan. Ma siamo sicuri?

Il disegno di legge che porta il nome del deputato Alessandro Zan, al di là dei fattori emotivi e delle strumentalizzazioni politiche cui si è inevitabilmente prestato, suscita qualche perplessità, non naturalmente per le sue intenzioni che, anzi, volendo tutelare le minoranze e ogni orientamento sessuale, rientrano nella sensibilità di ogni persona civile, ma per gli strumenti repressivi di cui si avvale per il raggiungimento dello scopo che si propone. Ciò che infatti soprattutto colpisce in questo testo è il chiaro intento pedagogico che lo pervade, per la concezione paternalistica dello Stato che presuppone, come se le idee considerate sbagliate possano essere cambiate per legge senza correre il rischio di finire nel precipizio dello stato autoritario “a fin di bene” (come tutti i regimi repressivi pretendono di essere). Bisogna sempre fare attenzione ai mezzi che si utilizzano per raggiungere determinati fini onde evitare che in essi vengano stabiliti principi e precedenti che possono poi essere impiegati per scopi assai diversi; insomma, come dice un noto proverbio, la strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni.

Premesso dunque che le finalità che il ddl Zan si propone sono condivisibili ci si chiede se sia davvero necessario fare una nuova legge quando già quelle esistenti (a cominciare dalla Mancino del 1993) tutelano abbondantemente le minoranze etniche, religiose e sessuali, soprattutto se tale disegno di legge contiene norme che sotto diversi profili appaiono di dubbia costituzionalità. La prima obiezione infatti – certamente la più grave – riguarda la libertà di esprimere liberamente le proprie opinioni (per sbagliate che possano sembrare) messa in pericolo dall’ambigua formulazione del concetto giuridico di “incitazione all’odio”; il confine tra libertà di espressione e “incitazione all’odio” è molto sottile e si presta a interpretazioni variabili a seconda dei punti di vista e della diversa sensibilità del magistrato giudicante. Se l’incitazione comporta azioni penalmente rilevanti essa è già prevista dal codice penale come istigazione a delinquere (art.414 cp), in caso contrario il sospetto che si vogliano attraverso l’azione penale conculcare opinioni ritenute lesive di una concezione politicamente corretta appare fondato. In uno stato di diritto che trae la sua legittimità da una cultura liberale sono le azioni che vanno punite (quando danneggiano la libertà o gli interessi di qualcuno), mai le idee, altrimenti si configura un classico esempio di reato d’opinione, di dubbia costituzionalità. Vero è che nel ddl è stato inserito (probabilmente per eludere le obiezioni “garantiste”) un articolo che ribadisce la libertà di opinione (art. 4) ma essa è condizionata al fatto che “tali idee non siano idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori e violenti”. Un articolo che di fatto modifica l’art. 21 della Costituzione perchè mentre è superfluo per quanto riguarda gli atti discriminatori e violenti già puniti dalle leggi esistenti (compresa l’istigazione), subordina per altro verso la libertà di esprimere le proprie idee a una valutazione ex ante della loro pericolosità, introducendo una sorta di censura preventiva. Per di più gli articoli successivi del ddl contraddicono platealmente la prima parte dell’art. 4 dando la netta impressione che con questa legge non si voglia tutelare le minoranze ma costringere tutti a condividere determinate opinioni; il che configura una funzione etica dello Stato che ogni liberale dovrebbe temere anche per le estensioni che potrebbe assumere. Tale impressione è confermata d’altronde dalla sproporzione delle pene previste e dalle modalità che condizionano la loro sospensione vincolate in sostanza all’accertamento che il “colpevole” abbia cambiato idea; tutti elementi che dimostrano l’intenzione pedagogica (non a caso accompagnata da punizioni “esemplari”) tipica di una concezione di etica pubblica del tutto estranea alla tradizione giuridica liberale.
Aggiungo due considerazioni di minore rilievo: la prima riguarda la possibile censura della Corte costituzionale (come avvenne negli Stati Uniti in un caso in parte analogo con una famosa sentenza della Corte Suprema) che avrebbe effetti controproducenti ai fini delle “buone intenzioni” del deputato Zan, la seconda un probabile referendum abrogativo che avrebbe molte probabilità di essere vinto dai partiti che si oppongono a questo ddl spesso per ragioni che nulla hanno a che fare con le preoccupazioni che ho espresso. Vale la pena correre questo rischio per la soddisfazione di infliggere qualche anno di carcere agli imbecilli che ancora chiamano “froci” gli omosessuali?

Un conto è dunque il contrasto all’omofobia, che va realizzato soprattutto con mezzi e modalità adatti a modificare pregiudizi culturali purtroppo assai diffusi (scuole, associazioni, campagne di informazione), altro mettere in atto strumenti di repressione penale che colpiscono la libertà di non condividere idee che noi riteniamo giuste. Salvini e Meloni, sostenitori del superamento dello stato liberale, a ben vedere dovrebbero approvare le concezioni contenute nel ddl Zan: stabilire il principio che lo Stato decide cosa è bene e cosa è male e punisca di conseguenza chi la pensa diversamente, apre la strada alla trasformazione della nostra democrazia fragilmente liberale in quel modello dichiaratamente illiberale che i loro amici stanno realizzando in alcuni paesi dell’Europa orientale. Basterà conquistare la maggioranza parlamentare e saranno loro a stabilire il confine tra opinioni lecite e proibite, e a definire “incitamento all’odio” ogni idea incompatibile con le loro visioni nazionaliste, sovraniste, plebiscitarie.

L’intolleranza non si combatte imitandone, a parti rovesciate, i metodi. Ma come spiegarlo in un paese come il nostro che da secoli continua a ritenere inconcepibili le diversità di opinioni e considera la politica soltanto come un mezzo per distruggere gli avversari?

Franco Chiarenza
26 aprile 2021

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