Siamo al dunque

Quali sono le possibili scelte elettorali di un liberale qualunque? Mi è stato chiesto.

Percorro l’offerta disponibile.

Escludo l’estrema sinistra (Fratoianni, Speranza, ecc.) non per avversione pregiudiziale ma per il semplice fatto che la radicalità socialista e statalista a cui essa fa esplicito riferimento, anche se velleitaria e di fatto irrealizzabile, non è accettabile per un liberale. Non nego che sul tema dei diritti alcune convergenze sarebbero possibili ma non mi sembra che questo sia al momento il punto centrale.

Il partito democratico, soprattutto in alcune sue componenti, può invece essere considerato uno schieramento dove alcune istanze liberali hanno trovato in passato e possono ritrovare oggi uno spazio adeguato. Recentemente però Enrico Letta e il gruppo dirigente del partito (che già dalle sue origini liberale non è mai stato, essendo nato dalle ceneri del partito comunista e di quello cattolico di sinistra) hanno orientato la sua immagine verso un’identità che in qualche momento non mi è più sembrata compatibile con la cultura liberale dello stato di diritto, non a caso privilegiando un’alleanza organica col sovranismo populistico dei Cinque Stelle. Quanto basta per escluderlo dalle mie preferenze, malgrado la presenza nel suo “campo largo” anti-fascista di personaggi come Emma Bonino (+Europa) e Cottarelli i quali certamente vanno ricompresi nella tradizione radical-liberale.

Il movimento Cinque Stelle, oggi guidato da Giuseppe Conte, è tornato a identificarsi con un volgare assistenzialismo paternalistico su cui contenere la perdita di credibilità su cui i sondaggi hanno impietosamente insistito. Non ho dubbi che dopo le elezioni, misurati i rispettivi rapporti di forza, Conte tornerà ad allearsi col PD in una piattaforma dove la demagogia rappresenterà la bussola di ogni scelta (specularmente a quanto ha fatto il partito della Meloni con il governo Draghi per raccogliere il consenso degli scontenti). Sempreché, come è già avvenuto in passato, non riemerga dalla nebbia l’imperscrutabile “Elevato” con qualche imprevedibile alzata di testa. So bene che alcune istanze dei Cinque Stelle (come la lotta alla corruzione e ai privilegi ingiustificati della classe politica) non lasciano indifferenti i liberali, i quali però contestano i mezzi e gli strumenti utilizzati che hanno inciso sull’equilibrio dei poteri, fondamento ineludibile dei sistemi liberal-democratici. Non è il caso di affidarsi a un movimento che fa dell’incompetenza la ragione della sua esistenza e respinge la meritocrazia.

Forza Italia, al cui interno molti liberali hanno esercitato in passato un ruolo importante, ha accentuato il suo carattere di “partito padronale” che ne costituì il limite sin dalle origini, e rappresenta oggi soltanto le velleità di rivalsa del suo vecchio leader. Invece di cogliere l’occasione per trasformarsi in una destra moderata al cui interno una parte dei ceti medi avrebbe potuto trovare un punto di riferimento, FI resta un partito di corte arroccato intorno a un “sovrano” delegittimato dai suoi ambigui rapporti internazionali, dai conflitti con la magistratura, dall’incapacità di prospettare un progetto credibile per la stabilizzazione del sistema politico. Io non l’avrei comunque votato perchè non dimentico il passato ma constato con amarezza che il suo crollo toglie alla destra un pilastro che avrebbe potuto arginare le tentazioni sovraniste e demagogiche delle sue componenti più estreme.

La Lega, pur attraversando una crisi di consensi nei confronti del suo leader Salvini, resta, soprattutto al nord, una forza radicata sul territorio ancora legata ad aspirazioni autonomistiche che ne costituirono molti anni fa la ragione del successo iniziale. La demagogia volgare di Salvini e le sue compromissioni di politica internazionale creano imbarazzo nel suo stesso partito ma soprattutto fanno temere azioni di governo che spingerebbero il Paese alla bancarotta e all’ uscita dall’Unione Europea e dall’alleanza atlantica per scivolare in un ambiguo neutralismo funzionale alla politica espansionista di Putin. Tanto basta per escludere che un liberale possa votare per la Lega, almeno fin quando essa si riconoscerà nella leadership sgangherata e pericolosa del suo capo. Ometto per brevità alcune considerazioni sulla mancanza totale di attenzione per i diritti umani esibita da Salvini che sembra ispirarsi a una visione arcaica e autoritaria della società che non appartiene alla cultura liberale.

Fratelli d’Italia costituisce il fenomeno emergente dell’attuale stagione politica. Nato dall’eredità post-fascista del MSI, il movimento raccoglie quanti sono sopravvissuti ai suoi traumatici passaggi attraverso l’Alleanza Nazionale di Fini e il “Popolo delle libertà” di Berlusconi. Una destra confusa che funge da bacino di raccolta di istanze non sempre compatibili tra loro la quale dagli errori altrui (compresa la Lega) si trova oggi sospinta alle soglie della responsabilità di governo. La sua leader, Giorgia Meloni, è riuscita abilmente a costruirsi una credibilità personale (non giustificata dalla sua storia), che le consente di apparire in Italia e all’estero interlocutrice affidabile – di destra certo, ma non diversa dai movimenti populisti che anche nel resto d’Europa si stanno affermando in contrapposizione ai modelli liberal-democratici fino ad oggi prevalenti. Illiberale per definizione, difensore dell’autoritarismo plebiscitario di Orban e di Erdogan, atlantista per opportunismo (e per non tirare troppo la corda col potente alleato americano, almeno finché i democratici saranno al potere), il “fraterno” movimento nazionalista non può essere nemmeno preso in considerazione da un liberale. Eppure sono certo che non mancheranno coloro che sosterranno il contrario; ci furono anche cent’anni fa quando il fascismo colse l’occasione degli errori altrui per proclamarsi difensore degli interessi dei ceti medi e insediarsi al potere.

Resta il “terzo incomodo” o meglio l’assemblaggio di quanti vorrebbero esserlo per non restare schiacciati dall’alternativa padella-brace. Si tratta naturalmente di quel terzo polo costituito frettolosamente intorno ad Azione (il movimento di Calenda), Italia Viva (Renzi) e un po’ di profughi provenienti da Forza Italia (Gelmini, Brunetta, Carfagna, ecc.); strutturalmente debole è caratterizzato più dal rifiuto della polarizzazione che da un chiaro indirizzo programmatico. Ma per quel che è stato possibile mettere insieme esso presenta un indirizzo liberal-democratico abbastanza netto anche se venato da sfumature stataliste più social-democratiche che liberali. Comunque convince la filosofia del “fare” che Calenda persegue da quando osò sfidare il PD nelle amministrative a Roma ottenendo un discreto successo (20%). Manca un adeguato impianto politico ideologico che offra indicazioni sulla politica internazionale, sulle scelte energetiche, sulle grandi riforme liberali che il Paese attende da cinquant’anni; il “buon governo” sui singoli problemi è un metodo valido per superare le pregiudiziali ideologiche ereditate dal passato ma non basta a segnare una nuova identità che le nuove generazioni possano considerare attraente.
Ma tant’è: malgrado i passi falsi che ne hanno minato la credibilità voterò Calenda e Renzi e altrettanto dovrebbero fare a mio avviso i liberali qualunque che me lo hanno richiesto.

Su queste elezioni, qualunque ne sia il risultato, incombe il fantasma di Mario Draghi. Inquietante per i partiti che devono prendere atto del consenso che ha suscitato nel Paese la sua azione di governo (65%, un record assoluto dopo un anno di scelte difficili e spesso divisive), imprescindibile per chiunque ne prenderà il posto a palazzo Chigi. Draghi ci lascia la nostalgia di un metodo di governo efficiente, di un prestigio personale costruito nel tempo, di una coerenza testarda nelle cose che contano. Noi liberali lo ricorderemo come raro esemplare di quei servitori dello Stato (grand commis, dicono i francesi) che nelle grandi democrazie liberali dell’Occidente hanno sempre rappresentato il telaio su cui i veri statisti possono realizzare i progetti di cambiamento di cui sono portatori. In Italia sono sempre più rari ma anche di statisti degni della definizione ne vedo pochi.

Franco Chiarenza
20 settembre 2022

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