“La Russia di Putin” di Anna Politkovskaja
È leggendo “La Russia di Putin” (Adelphi) scritto da Anna Politkovskaja nel 2004 che si capisce perché Anna Politkovskaja sia stata uccisa e quanto sia plausibile il sospetto che sia stata uccisa il 7 ottobre 2006, come regalo a Vladimir Putin, che nato il 7 ottobre 1952, quel giorno compiva il suo 54esimo compleanno.
È un libro di un coraggio estremo, il quadro di una Russia che “è il prodotto dell’Unione Sovietica”, dove la corruzione, generalizzata e gerarchizzata con in testa il suo presidente, costituisce l’organizzazione stessa dello stato; dove le ricchezze degli oligarchi sono i risultati della privatizzazione di pezzi di stato di cui si sono impossessati coloro che al momento dello sfaldamento dell’Unione Sovietica erano all’interno dello stato nelle posizioni e condizioni di farlo, persone cioè della “nomenclatura” del partito comunista. Una società dove tutto ha un prezzo, dove ogni ricchezza nasce e si mantiene pagando burocrati, polizia e tribunali. Dove le aziende che funzionano vengono spolpate, chi alza la testa viene fisicamente eliminato e gli ex soldati e ufficiali che hanno combattuto anni e anni in Cecenia, non più adatti alla vita civile e non sapendo fare altro che combattere e uccidere, si sono riciclati in killer e guardie del corpo.
Qua e là c’è un certo rimpianto per le speranze sorte con Gorbaciov e Elsin e subito cessate con l’arrivo di Putin che ha portato con sé i suoi sodali del KGB e questi a loro volta i loro colleghi e così via invadendo ogni punto nevralgico dello stato che è tornato a ritroso verso il mondo di Stalin. E in questo revanscismo Anna Politkovskaja cita anche l’aiuto avuto da Putin dal “coro di osanna” di molti dei leader politici dell’occidente. Un Putin che va avanti finché non incontra resistenza, che “tasta il terreno e sonda le reazioni e che se non ce ne sono o sono amorfe e gelatinose procede”. L’autrice però non incolpa gli altri per lo stato della Russia ma fa l’autocritica: “le nostre reazioni a quel che ha detto e fatto sono state non solo fiacche ma impaurite” mentre “il KGB rispetta solo i forti, i deboli li sbrana”.
Si parla delle guerre cecene, dei crimini di guerra, dei bombardamenti su città e villaggi, delle vendette e degli stupri lì commessi, del cinismo e della disumanità verso i civile così come vediamo ora nella guerra contro L’Ucraina. E l’esercito è un corpo assolutamente chiuso su se stesso, dove si ruba di tutto e dove ognuno esercita il proprio potere su chi è di grado inferiore anche picchiandolo. Si descrive il razzismo verso i ceceni che vivevano in Russia, perseguitati e arrestati con false prove da una polizia senza scrupoli.
Si parla in modo dettagliato anche degli attentati nel teatro Dubrovka del 2003 e nella scuola di Beslan del 2004 con il cinismo e la rozzezza degli interventi, l’uso di gas e i conseguenti massacri poi da ignorare e nascondere anche togliendo voce a sopravvissuti e parenti.
Al termine del suo libro Anna Politkovskaja si domanda perché ce l’ha tanto con Putin. La risposta – evidente – sta nel mondo che descrive e che spiega anche perché Putin ce l’ha avuta così tanto con lei che qualcuno ha ritenuto opportuno festeggiare il suo 54esimo compleanno regalandogli la vita di questa esemplare coraggiosa giornalista della Novaia Gazeta di Mosca.
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